Sia a titolo personale che come presidente Aset sono stato sollecitato su un’incipiente polemica: è legittimo che si chieda ai giornalisti l’impegno a scrivere articoli o a inviare il pubblicato per concedere l’accredito? Il capo ufficio stampa della Fiera ci risponde.

Il malumore covava da tempo, dopo che anche in occasione di altri eventi (ad esempio il recente Taste fiorentino) molti colleghi si erano sentiti richiedere l’impegno preventivo a pubblicare articoli o a produrne di già pubblicati come condizione per ottenere l’accredito alla manifestazione.
Ieri sera mi fanno presente che pure l’ufficio stampa del Vinitaly (uno dei più “assediati” d’Italia, ammettiamolo, dalle richieste di giornalisti veri o presunti) si era adeguato all’andazzo. Da qui la richiesta di un mio intervento anche istituzionale come presidente di una delle associazioni dei giornalisti di settore, l’Aset (Associazione Stampa Enogastroagroalimentare Toscana, info qui).
Ho fatto subito presente che, in verità, la mia richiesta di accredito era stata accettata a Verona senza troppe difficoltà nè aut aut e che, a mio parere, la questione era molto più complessa di come generalmente viene prospettata, incorporando aspetti sottili e trasversali di una professione ormai priva di una sua identità.
Ma era giusto andare a fondo. E io l’ho fatto.
Tutto comincia dalla pagina del sito del Vinitaly (per intero, qui) dedicata alla richiesta degli accrediti stampa:
L’accredito viene rilasciato per consentire la copertura giornalistica della manifestazione. L’accredito è concesso ai giornalisti, professionisti e pubblicisti, in possesso di una tessera dell’Ordine dei giornalisti in corso di validità. Per ricevere l’accredito all’edizione 2014 della manifestazione è necessario compilare in ogni sua parte la scheda qui di seguito, allegando obbligatoriamente la copia della tessera dell’Ordine dei giornalisti e foto del richiedente, stile fototessera. L’Ufficio stampa di Veronafiere, inoltre, invita i colleghi giornalisti presenti alla precedente edizione della manifestazione ad inviare copia, in formato PDF o JPG, di propri articoli pubblicati su testate cartacee, oppure a segnalare link a servizi audio/video o ad articoli online, realizzati a copertura dell’evento. L’Ufficio stampa di Veronafiere si riserva comunque il diritto di condurre ulteriori approfondimenti per stabilire l’effettiva attività giornalistica del richiedente, così come il diritto di limitare l’accreditamento o di revocarlo del tutto“.
Così, tanto per non saper nè leggere nè scrivere, ho interpellato direttamente Carlo Alberto Delaini, responsabile dell’ufficio stampa dell’Ente Fiere Verona, e gli ho girato la domanda.
Dov’è il problema?“, mi ha risposto.
Il problema, gli ho spiegato, è che non pare corretto chiedere ai giornalisti, per concedere l’accredito, di fare qualcosa di deontologicamente illecito, cioè garantire di scrivere articoli sulla manifestazione.
La sua risposta è stata chiara: “Chiediamo la tessera a chi ce l’ha come sempre e a chi non l’ha chiediamo di dimostrare che scrive o che lavora per una testata, sia essa radio, tv oppure online. Abbiamo aperto anche ai blogger, con verifiche molto strette, quelle si. Abbiamo inserito un campo, non obbligatorio per chi ha la tessera dell’ordine, vedasi asterischi, per quanti vogliono inserire pdf articoli o link ai servizi scritti negli anni scorsi. Sono tanti quello che lo fanno e ci mandano email dopo la fiera per presentare il proprio lavoro. Precisato questo, sono convinto che al momento siamo ancora tra le rassegne internazionali più “disponibili” all’accredito, nonostante mettiamo dei paletti, necessari se si pensa che ogni anno a Vinitaly è presente una media di oltre 2.500 giornalisti da circa 50 Paesi“.
In effetti, messo così, il problema si ridimensiona.
Del resto chi mi legge sa come la penso: e cioè che la pressione a cui oggi sono sottoposti gli organizzatori di eventi da parte di un mondo in cui la “comunicazione” è esplosa a un punto tale da rendere difficile capire chi fa cosa, perchè e a che titolo, è fortissima.
Logico che si tenti di porre sbarramenti e filtri.
In termini diversi e più scandalosi il problema era già esploso al Merano Wine Festival di qualche anno fa (al quale dedicai, qui, un post piuttosto velenoso che ha battuto ogni record di visite), quando quell’ufficio stampa chiedeva nero su bianco un impegno scritto a pubblicare, indicando dove e quando, come condizione per la concessione dell’accredito (salvo darlo senza problemi ai blogger e ai “media partner“, guarda caso).
Forse però sarebbe ora che il problema fosse messo a fuoco nei suoi termini reali e fuori dalle ipocrisie.
Provo a sintetizzare:
1) bisogna incrinare l’equazione accredito = gratuità: al giornalista che lavora (cioè che è pagato per andare lì o che si fa pagare gli articoli) di entrare gratis interessa il giusto. Ciò a cui realmente serve l’accredito è usufruire dei servizi stampa (sala stampa, computer, rete, fotocopie, guardaroba, parcheggio, ingresso senza code, etc) che agevolano il lavoro. Il costo del biglietto, se il servizio funziona, posso tranquillamente farmelo rimborsare dall’editore o dal committente, oppure far rientrare la spesa nel compenso che chiedo per i miei articoli, oppure pagarmelo di tasca. Insomma, a queste condizioni la libertà di stampa può essere davvero pagare il biglietto.
2) giusto, a chi non è giornalista iscritto all’OdG, chiedere anche di dimostrare (ad esempio con lettera di accredito della testata) che è lì per svolgere un lavoro di tipo giornalistico. Altrimenti perchè chiede di farsi accreditare? Enologi, produttori, standisti, rappresentanti etc sono gente che al Vinitaly lavora, ma nessuno di loro si sogna di chiedere un accredito stampa (nè i giornalisti potrebbero pretendere di avere il pass “espositore”).
3) fermo quanto sopra, stop senza pietà agli accrediti “strumentali“, che servono cioè sia a chi – giornalista o meno che sia – vuol solo farsi un giro, sbafare al bar, lucrare qualche bottiglia, pavoneggiarsi con il pass alla giacca, etc (colpa lieve), sia a chi (colpa ben più grave) usa il falso accredito per avere autorevolezza o potere contrattuale/intimidatorio per fare lavori diversi: vendita di pubblicità, approccio dei giornalisti, distribuzione in sala stampa di depliant e cartelle, mercanteggiamenti vari. Includo tra costoro numerosi cd “blogger” (non tutti, sia chiaro, perchè ve n’è di serissimi) da tempi pizzicati in attività di mercimonio goffamente camuffate da “informazione”.
4) è vero: anche adottando i criteri di cui sopra, resteranno sempre e comunque fuori molti casi borderline,  individuali e specifici, che spetterà alla professionalità dei responsabili dei vari uffici stampa risolvere. Partendo dal presupposto che la valutazione discrezionale dell’opportunità di concedere un accredito è loro prerogativa indiscutibile e irrinunciabile. Del resto, è quella stessa professionalità che dovrebbe indurre chi lavora seriamente a sapere che il numero degli accreditati non è sinonimo nè di qualità nè di prestigio dell’evento e che la bontà del servizio concesso a chi lavora davvero come giornalista è, di norma, inversamente proporzionale alla mole dei dotati di pass. Chiunque abbia un po’ d’esperienza può confermarlo.
5) proposte? Eccone una, che ho circostanziato meglio sul sito di Aset (qui): prendere esempio da fiere di altri settori specialistici e utilizzare le associazioni più credibili dei giornalisti per filtrare preventivamente i nominativi da accreditare. Chiedere cioè a queste organizzazioni di fare esse stesse da “garanti” sulla serietà professionale dei propri associati, e concedendo a questi l’accredito per il fatto stesso di essere soci. Formula che si presterebbe anche, nel comune interesse, ad altre pratiche di snellimento organizzativo: immaginiamo ad esempio le associazioni demandate a raccogliere le richieste di accredito e i pass di accredito inviati direttamente, loro tramite, ai destinatari. Serietà in cambio di serietà. Che alla fine è l’unico meccanismo che funziona.