In dieci cruciali giorni si sovrappongono questi tre eventi-manifesto dell’italianità contemporanea. Tutti legati al doppio filo del marketing e del luogo comune. A chi tocca sfondare il tetto di vetro?
Come diceva la canzone (qui)? “La radio mi pugnala con il Festival dei Fiori…“.
Questo più che un agguato mi è sembrato però un assassinio di gruppo, coi tre tenori di Little Italy a brandire il microfono sanremese a mo’ di coltellaccio da cucina. Del resto se il festival è l’evento nazionale che occupa buona parte dei titoli dei giornali e incolla alla tv un italiano su due, un motivo ci sarà. E il motivo è questo: siamo un paese ingabbiato nella terza età. Terza età non in senso anagrafico, ovviamente, ma di state of mind: le sbarre lasciano vedere fuori, sentire i profumi, ascoltare i rumori, ma non ti fanno uscire. “You can check out any time you like, but you can never leave“, diceva un’altra canzone celeberrima (qui) accusata perfino di satanismo.
Ovunque, del resto, in Italia si va per caricature. Per macchiette. Per sclerotici punti fissi. Un po’ pigrizia, un po’ rassegnazione, un po’ guinzaglio, un po’ codardia.
La stessa impressione si era avuta alla cloroformica Borsa Internazionale del Turismo milanese, che ha chiuso i battenti ieri a Milano sullo sfondo dell’Expo (quella del “David di Donatello“). Lì c’era ancora chi pensava di stupire con le hostess vestite da pupazzo, gli show spaccatimpani e qualche assessore munito di troupe prezzolata, mentre la gente vagava nei corridoi rimuginando sull’unica, vera frase da viaggiatore che in quel contesto chatwinianamente aveva senso: “Ma io che ci faccio qui?“.
Due-ore-due di treno, miracoli del frecciarossa, e oplà, eccoci a Firenze alle Anteprime del vino toscano, una settimana di kermesse bevereccia ambitissima dai giornalisti di tutto il mondo. La sarabanda è cominciata ieri con il Chianti e finirà sabato a Montalcino.
Anche attorno al calice si snoda però il sottile filo rosso (non solo in senso di vino) che già unisce la Bit e il festival.
L’investimento è notevole, l’organizzazione complessa, lo sforzo di tutti gli espositori importante. Ponti d’oro (anche troppi) per la stampa straniera. Ma in un labirinto di campanilismi reso spesso impraticabile dai numeri. Dove certe collaudate corazzate si muovono bene e altre, meno avvezze alle grandi manovre, meno. Troppi vini, troppe denominazioni, troppi spostamenti, troppi paraocchi e troppi luoghi diversi. Tutti, quasi sempre, rappresentati come alla Bit: presunte arcadie da cartolina. Non è bastato alla Regione Toscana rispolverare in fiera, un po’ alla chetichella, la contestatissima e onirico-ridicola campagna pubblicitaria a base di foto taroccate (qui). La strada ormai sembra aperta anche alle rappresentazioni caricaturali del vino, nel perenne inseguimento (è comprensibile, per carità) di nuovi mercati che però nel calderone globale si rivelano sempre vecchi, nel senso della loro volatilità.
I giornalisti non aiutano a migliorare la situazione: spesso monotematici, privi di curiosità e incapaci di intercettare tutto ciò che è trasversale e, perciò, vivo. Difficile leggere articoli che non siano mere cronache di degustazione pur in una regione, la Toscana, che sarebbe una miniera di spunti e di spigolature per offrire letture originali anche in chiave perivinicola: Renzi, il contestato piano paesaggistico (che coinvolge in pieno viticoltori e agricoltori), il patrimonio culturale, il riuso degli spazi in chiave espositiva (dopo la celebre Leopolda, covo del Chianti Classico, il consorzio del Chianti ha osato con successo nei locali dell’ex Manifattura Tabacchi), etc. Invece tutti a parlare delle rivalità tra produttori, di querele e controquerele, di come sarà l’annata 2014 dopo tutte le piogge cadute.
I cosiddetti blogger non sono da meno: massimo conformismo e orgogliosa ostentazione del pass “stampa”, status symbol a parole vituperatissimo. Un altro film già visto, ariecco il filo rosso, alla Bit.
Insomma tanto alla fiera del turismo, quanto a San Remo e tra i vini toscani, ce la cantiamo e ce la suoniamo.
Finchè il filo rosso ci strangolerà.