Ho assaggiato, del tutto alla cieca (cioè senza nemmeno sapere il criterio di servizio), 90 campioni del 2007 su 140. Un’idea me la sono fatta: vini buoni, ma molto pronti e molto uguali fra loro. Con qualche rischio di omologazione ed alcune encomiabili eccezioni.

I primi dieci, tra alti e bassi, erano partiti forse un po’ fiacchi. Poi hanno cominciato ad accendersi le luci e ad apparire alcuni campioni che il mio vicino di posto ha azzeccatissimamente definito “yummy“: cioè buoni e anzi più che buoni, in sostanza. Verso il quarantesimo campione cominciavo a compiacermi per il livello medio decisamente alto dei Brunello 2007 presentati in anteprima. Arrivato al sessantesimo ho creduto di avvertire una certa stanchezza, i vini mi piacevano sempre meno e sono andato a pranzo per staccare un po’ e far riposare il palato.
Pausa, chiacchiere, pacche sulle spalle con gli amici e poi di nuovo nel chiostro.
Altri trenta campioni: alcuni buoni, altri buonini, ma soprattutto sempre più uguali a se stessi. Medesimo colore semiscarico. Medesima maturità e prontezza. Medesima dolcezza e morbidezza. Così, piano piano, al posto del compiacimento è intervenuta un’ingenerosa, ma invincibile noia. E al novantesimo vino ho smesso, per non rischiare di essere ingiusto verso chi veniva servito dopo.
Ecco, dovendo sintetizzare al massimo la sensazione finale di una giornata passata ad assaggiare i Brunello 2007 (un’annata a 5 stelle, l’ennesima, e la cosa dovrebbe far pensare, come ho scritto qui) è questa: il disagio di sorprendersi annoiati da vini di buon livello, a volte ottimo, ma che sempre più spesso parevano omologati, fatti con lo stampino. Opinione condivisa anche da altri colleghi. Il tutto in novanta campioni su centoquaranta (in realtà centotrentadue, perchè ho saltato le otto selezioni presenti), assaggiati esclusivamente alla cieca e di cui – volutamente – vi riferisco scrivendo senza ancora aver allineato numero e produttore. Un’impressione quindi a mio parere sufficientemente probante sul piano statistico e completamente slegata da qualsiasi condizionamento.
Guardandolo da una certa prospettiva, quanto rilevato potrebbe essere un dato anche consolante, testimonianza dell’identità e dell’omogeneità della denominazione.
Sì, ma… a parte il fatto, questo davvero irritante, della disinvoltura con cui nel giro di un paio d’anni si è passati generalizzatamente, guarda caso, dallo stile superconcentrato e nero di certe contestate stagioni agli equilibrismi perfino stucchevoli (per non dire delle colorazioni esangui) di oggi, questa tendenza all’omologazione mi è parsa abbastanza allarmante, perchè è il segno di una precisa, anche se umanamente ed economicamente comprensibile, rinuncia alla riconoscibilità aziendale e dell’adesione quasi incondizionata al diktat commerciale reso cogente dalla crisi dei consumi: fare vini pronti, gradevoli da subito, da vendere presto e di cui aver “voglia” immediatamente.
Che si sia aperta la strada verso una banalizzazione del Brunello o di una sua “amaronizzazione”? Fatte salve alcune positive eccezioni (sono curiosissimo di vedere chi sono) ed altri pochi vini rimasti invece legati allo stile passato, è proprio questa l’idea con la quale sono uscito dall’anteprima 2012. Un’idea di per sè non negativa, della quale c’è solo da prendere atto. Salvo chiedersi quanto dell’assaggiato oggi sarà ancora buono tra quindici anni.

PS: ripensandoci, sebbene io sia contrario alla pubblicazione di voti e giudizi, non è giusto che non dica quali sono i campioni che mi sono piaciuti di più. Eccoli dunque, in ordine solo cronologico: Il Colle, Podere Fortuna, La Gerla, La Magia, Le Ragnaie, Le Sette Camicie, Paradisone. Mancano alcuni grandi nomi. Alcuni perchè non mi sono piaciuti, altri perchè non ho fatto in tempo ad assaggiarli. Del resto l’anteprima è così: un volo d’uccello e non un ammasso di dettagli, spesso aggregati con troppa fretta.