LETTURE NATALIZIE CONSIGLIATE: “Il mio e gli altri kalikanteri”, di Lorenza Ferrighi, autopubblicato.
Se ci ho messo oltre un anno a scrivere un articolo, che non chiamerei recensione, su questo libro, il motivo non è nè la pigrizia, nè il sovraccarico di lavoro. E neppure il fatto che conosco di persona l’autrice, la qual cosa normalmente mi rende più esitante e severo nel giudizio.
No, la ragione è un’altra: è che si tratta di un volume doloroso, profondamente personale, nel quale ho fatto fatica a calarmi con distacco. Somiglia a un livido permanente o a una frattura mai del tutto guarita, che duole ogni volta che la sfiori e spesso anche da sola, a guardarla, o per effetto del cambio del tempo o dello scorrere dei pensieri. E’ una sorta di doppio volume che si snoda in parallelo all’interno di un testo unico. Di qua il racconto, di là il diario intimo. Il tutto appena in parte spiegato dal pur significativo sottotitolo: “Della passione delle madri“.
Non è un caso nemmeno il fatto che si tratti di un libro autoprodotto. Direi invece che l’autopubblicazione mi pare la naturale conseguenza di una serie di elementi in linea tra loro: il carattere della Ferrighi, la sua vicenda e il filo conduttore dell’opera, ovvero l’autismo. Quello dei figli. Con ciò che in ogni senso ne deriva.
Lorenza Ferrighi, premettiamolo, è una donna dotata di coraggio e di un’onestà interiore non comuni. Posso dirlo in virtù di una conoscenza di anni e di una frequente corrispondenza. E’ una delle poche persone che ha il fegato di mostrarsi com’è, di rinnegare modi di essere per il semplice e ovvio motivo che non sono più tali, di ammettere di aver sbagliato e pure di aver, per essere chiari, commesso grandi errori o preso grossi abbagli. Non esita a opporsi al conformismo. Ma lo fa da solitaria, non da appartenente a branchi, fazioni, organizzazioni, gruppi di pensiero. E’ una che lotta contro una solitudine doppia: la propria e quella a cui il destino l’ha condannata (anche se a lei, giustamente, l’espressione non piacerà), regalandole un figlio tanto amato quanto isolato dal mondo. Autistico, appunto. Dotato dunque di un mondo proprio, inafferrabile quanto basta da non poter essere governato, ma leggibile quanto basta a godere di luce, dignità e bellezza, alternando e facendo alternare bagliori di gioia e di disperazione.
“Il mio e gli altri kalikanteri” (185 pagine, 14 euro su Amazon) è dunque un racconto semiautobiografico di viaggi e di fughe, di inseguimenti e speranze, di sentimenti ondivaghi e di annotazioni notturne, di due mamme che sono la stessa persona e che cercano, tra le pieghe dell’esistenza, di dare un senso alla vita propria e a quella del figlio che a sua volta vive e le fa vivere, ma lo può solo grazie alla loro incrollabile dedizione. Un figlio dal quale, quasi periodicamente, scappano perchè sanno di reincontrarlo ovunque come si incontrano i kalikanteri, gli spiritelli che nell’ortodossia greca, durante le feste natalizie, si affacciano al mondo e vengono (ricordate la Little People di Murakami?) a turbare il quieto vivere dei normali.
E’ insomma un libro doloroso, l’ho detto, che è inutile recensire perchè non è un semplice libro da leggere. Somiglia a una tessera del mosaico della conoscenza, appartiene alla collezione dei punti di vista, o se preferite di osservazione. Ma nessuno si aspetti una lagna autocommiserante o un trattato psichiatrico. E’ invece una lettura abrasiva, a volte spigolosa, spesso emozionante.