C’era una volta il blog, cioè una sorta di diario personale on line presto trasformatosi, vista la viralità che consentiva, anche (sottolineo anche) in un efficace strumento di marketing e, pertanto, in fonte di guadagno. Evoluzione forse non romantica, ma logica e inevitabile.
Su quell’onda nacquero i blogger: dapprima chi, per diletto o passione, affidava o tuttora affida alla rete le sue considerazioni e memorie; poi quelli che, a pagamento o dietro compensi in natura, con la scusa che i giornali non erano credibili (mentre loro sì, non si capisce in base a che), hanno cominciato a spacciare le reclame e la propaganda per opinioni e informazione, dando in sostanza vita a una nuova professione, sebbene il più delle volte occulta o dissimulata dietro il paravento del libero pensatore. Li hanno chiamati influencer.

Siccome però la tecnologia avanza alla velocità della luce, presto si sono affacciati in rete strumenti di marketing assai più efficaci dei blog per “influenzare” l’opinione pubblica: Facebook, Twitter, Instagram e altre più recenti diavolerie. In pratica, sono sorti dei socialblog molto più facili da usare e gestire di quelli individuali.

Se tale evoluzione ha da un lato aggravato il problema della falsa informazione on line, rendendola più capillare e subdola, dall’altro ha segnato il fatale declino del blogging tradizionale, pian piano rifluito a strumento obsoleto e un po’ autoreferenziale, favorendone la progressiva scomparsa non certo dalla rete, ma senza dubbio dai radar dell’attualità e della cronaca. Da fenomeno di punta è diventato superato e così quasi tutti, me compreso, hanno smesso di occuparsene.

A fronte di tale declino, oggi posso quindi anche capire l’umano disdoro di chi, avendo costruito sull’effimera dirompenza dei blog il proprio piccolo recinto di guadagni, interessi e protagonismi, vede ora pian piano dissolversi il lucroso balocco.

Capisco meno e non giustifico affatto, invece, chi spaccia per paladinismo e nobile anelito di libertà la difesa dei suoi personali interessi blogghettari. E, per giustificare al mondo la propria esistenza, simula la minaccia di nemici che non ci sono.

Certo, cosa non si farebbe per due soldi e uno straccio di residua visibilità. Ma spesso non si capisce se alcuni personaggi ci sono o ci fanno: probabilmente ambedue le cose.

Essendo però questi soggetti, oltre che malfidati e quindi dotati di sensibilissima coda di paglia, pure duri di comprendonio e sfuggendogli quindi l’ormai generale irrilevanza mediatica della questione-blogger, continuano inspiegabilmente a (o forse hanno la necessità di) individuare in qualcuno, quorum ego si capisce, i nemici mortali loro e del loro ormai zoppicante giochino commerciale e di potere.

Cosa che però non solo non mi onora, ma ha pure smesso di farmi ridere.

Al massimo, mi fa pena: mica si rendono conto di essere diventati la patetica retroguardia di ciò che non è più nemmeno avanguardia.

Se talvolta non fossero fastidiosi, andrebbero solo ignorati.