VIAGGI&PERSONAGGI, di Federico Formignani.
A tu per tu col Principe del Liechtenstein: “Le tasse? Si pagano anche qui. Il denaro sporco? Lo fiutiamo subito. I sudditi? Ci beviamo una birra in giardino, perchè nel castello non c’è posto.
Dal castello di Vaduz si domina, come nelle fiabe, tutto il “reame”.
Giù, nella capitale, i turisti acquistano gli splendidi francobolli, gli oggetti dell’artigianato locale, le cartoline con la famiglia regnante. Alla fine se ne vanno, un po’ delusi per aver visto il castello solo dall’esterno.
All’interno lo vedo invece io in compagnia di Edith Zugliani, responsabile dei contatti con la stampa, che mi accoglie nello spiazzo antistante l’ingresso. Qualche scala e un po’ di stanze dopo mi trovo seduto su un divanetto in attesa di Sua Altezza Reale Principe Hans Adam II, von und zu Liechtenstein.
Quattro chiacchiere per entrare in sintonia, una tazza di caffè, sistemazione dei registratori (il mio darà vita a un documentario, quello di Frau Zugliani andrà nell’archivio dell’ufficio stampa) e il principe attacca, deciso:
“Lo so, lo so che in Europa paragonano il nostro paese a una enorme cassaforte (pronuncia la parola in italiano e ride); beh, le dirò che ci sono un gran numero di casseforti sparse per il continente: Lussemburgo, le isole britanniche della Manica e altre ancora”. Poi ricorda quello che diceva suo padre, Franz Joseph II: “Se le oasi continuano a esistere è perché altrove c’è il deserto”. Oasi fiscali, naturalmente.
Incoraggiato dall’atteggiamento serio ma decisamente amichevole di Sua Altezza, riprendo l’argomento con maggior vigore, chiedendogli se è vero che il suo minuscolo paese, incastonato tra Svizzera e Austria, è un paradiso fiscale nel quale non si pagano tasse.
È al corrente anche di tali dicerie; risponde questa volta con un mezzo sorriso, ma subito precisa che solo i redditi da capitale puro sono esenti da tassazione; per il resto chi vive nel Liechtenstein paga le tasse come fanno (o dovrebbero fare) gli altri. Magari un po’ meno, ammette.
Mi guarda per un attimo in silenzio, le mani atteggiate a preghiera verticali alle labbra, e riparte: “Naturalmente adesso lei mi chiederà se nelle tre banche del principato arriva il denaro sporco della droga, della mafia…”. Infatti glielo chiedo, nel modo più spudoratamente elegante che riesco a confezionare e il principe Hans Adam mi assicura che da anni il suo governo collabora in maniera fattiva con tutti gli stati che necessitano informazioni sulle montagne di denaro che transitano e sostano in Vaduz, la capitale; pecunia non olet, è vero, ma è altrettanto vero che i funzionari del principato hanno imparato al volo a individuare qualunque odore sospetto, è la sua conclusione.
Il principe, di fatto, è davvero poco principe; ha la grinta e il taglio di un efficientissimo manager, immerso com’è fino al collo nei problemi politici e amministrativi del suo minuscolo paese. Da qui gli incontri periodici col capo del governo, oltre ai frequenti contatti con la gente del Principato che si informa, propone, dibatte, approva e (talvolta) contesta; anche le donne, che sino al 1984 non avevano nemmeno il diritto di votare.
Gli chiedo se trova il tempo per godersi gli splendidi capolavori che compongono la collezione d’arte di famiglia. Si, con un rammarico. Il castello è chiuso al pubblico e non c’è ancora un museo nel quale sistemare e mostrare agli altri i nostri cinquanta e più quadri fra Rubens e Van Dyck; l’intera collezione è composta da oltre mille dipinti e alcune migliaia di oggetti di valore, conclude.
Forse è anche per questo veniale senso di colpa che ogni estate il principe invita i sudditi nel parco del castello (gli interni non avrebbero spazi a sufficienza) per farsi una birra e discutere del più e del meno.
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