In vista del 450° della morte del Buonarroti, che ricorre il 18/2, una mostra alle Cappelle Medicee di Firenze celebra l’artista con 23 straordinarie megafoto delle sue opere, scattate in b/n da Aurelio Amendola, specialista di fotoscultura.

Con un tono che non ammetteva repliche, il professore, un omino piccolo e nervoso, all’ingresso intimò: “Osservate un religioso silenzio”.
E fu così che, di colpo, quella che era cominciata come una gita scolastica domenicale per ginnasiali spensierati si trasformò in un’apnea culturale. Di cui nemmeno i marmi policromi, gli encausti e le scagliole riuscirono a incrinare la patina chiaroscurale che ancora me ne avvolge il ricordo.
Era la mia (e credo anche altrui) prima esperienza alle Cappelle Medicee della basilica fiorentina di San Lorenzo. Correva il 1974.
Dopo ci sono tornato tante volte, ma con un occhio diverso. Nulla mi aveva mai ridonato lo sguardo assorbente di quell’esordio.
Con una certa sorpresa e con molto più antico pelo mi è successo di ritrovarlo giorni fa, visitando una nuova mostra ospitata nel grande mausoleo in vista della ricorrenza, il 18/2 prossimo, del 450° della morte di Michelangelo: “Il potere dello sguardo“.
Si tratta di 23 fotografie in bianco e nero, stampate in grande (anzi, enorme) formato, di altrettante opere del Buonarroti: le sculture della Sagrestia Nuova della basilica, del David e dei Prigioni. Le ha realizzate il celebre specialista in fotoscultura Aurelio Amendola e costituiscono una selezione del più ampio portafogli contenuto nel volume celebrativo a tiratura limitata e numerata, intitolato “La dotta mano di Michelangelo“, che sarà pubblicato a febbraio da FMR per l’importante anniversario, con tutte le 83 immagini della raccolta originaria.
Spiegare il perchè del forte impatto emotivo provocato nell’osservatore dalle gigantografie non è affatto semplice, di primo acchito. Il Soprintendente per il Polo Museale Fiorentino, Cristina Acidini, ha efficacemente parlato di “toccare con gli occhi“, ma ancora non basta. La direttrice del Museo, Monica Bietti, ha evocato a sua volta un “occhio indiscreto” capace di trasformare in tatto in senso della vista.
In soccorso dello spaesato cronista viene, per fortuna, il catalogo.
Osservando attentamente il quale è possibile intuire che la ragione della forza impressionante delle immagini non è solo nella pur grande capacità interpretativa del fotografo nè in quella, ovvia, dei soggetti scultorei. E neppure nell’occhio indagatore dell’obbiettivo, in grado comunque di mettere in risalto, grazie ai raggi di luce radente e al gioco di amalgama dei chiaroscuri, dettagli inafferrabili a uno sguardo diretto: intrecci di pose, cornucopie nascoste, simbologie dissimulate e molti altri affascinanti particolari.
E’ forse nella variazione di prospettiva che sta il segreto della fascinazione? Nei cambi di piano che, dando quasi un’illusione di tridimensionalità, trasformano il punto di osservazione in un modo tanto diverso di percepire la scultura da trasformare la scultura stessa in qualcosa di mobile, di plasmabile otticamente?
Chi volesse togliersi lo sfizio di verificare, lo faccia. Non se ne pentirà.
La mostra rimarrà aperta fino al 15 marzo (info qui)