Se condannano un giornalista per le sue opinioni, sono i colleghi che devono insorgere e non chi, coi suoi scritti, egli aveva difeso. Altrimenti lo si rende “parte”, vanificandone la terzietà. Note a margine di un caso arcinoto, dopo il j’accuse di Luciano Pignataro.

Premessa 1: conosco Maurizio Gily, lo stimo e sono convinto che, dal punto di vista morale, abbia ragione. E’ proprio per questo che finora avevo evitato di intervenire sul suo caso.
Premessa 2: per essere sicuro di ciò che stavo per scrivere, ho parlato a lungo con il diretto interessato per farmi spiegare bene le varie pieghe giudiziarie.
Tutto prende le mosse da una recente invettiva dell’amico Luciano Pignataro sul suo Wineblog (qui), che si indignava perchè, alle porte della scadenza (28/2), la sottoscrizione pubblica a favore di Maurizio (qui) latitasse (mentre scrivo è a quota 13.250 euro).
Gily è il collega prima citato in giudizio e poi, mesi fa, condannato a risarcire con 5mila euro un altro collega, Paolo Tessadri de L’Espresso. Per il magistrato, nel 2008 Gily avrebbe criticato in modo offensivo Tessadri dopo il famoso articolo “Velenitaly” che, pubblicato alla vigilia del Vinitaly – cioè nel momento della massima visibilità mondiale per il mondo vinicolo italiano – aveva gettato indiscriminatamente fango sull’intero comparto. Procurando danni gravissimi all’immagine di tutti i componenti della filiera.
Tra le migliaia che espressero indignazione per quell’attacco, ritenuto proditorio, Tessadri ritenne che proprio Gily si fosse distinto per virulenza e quindi contro di lui adì le vie legali.
Risultando alla fine, tra la sorpresa generale, vincitore.
Gily si è visto così comminare la sanzione. Con la prospettiva di pagarla o di ricorrere in appello, ma sborsando in tal caso altri 10mila euro di spese legali. Rischio totale, 15mila euro.
Da qui la sottoscrizione per aiutarlo ad affrontare la spesa.
Dopo la fiammata iniziale, però, la raccolta si era arenata.
Sistema vino senza palle!“, aveva dunque tuonato sul suo blog Luciano Pignataro: aziende e consorzi spendono cifre enormi per il marketing, ma quasi nessuno ha ritenuto opportuno fare uno sforzo per sostenere questa battaglia di principio, a difesa del comparto e dello stesso Maurizio Gily. Segno, secondo Pignataro, non solo di menefreghismo, ma di grave miopia: “Se fossi stato presidente o direttore di un consorzio avrei fatto la corsa per staccare l’assegno intero per avere un ritorno mediatico pari almeno al triplo della cifra investita“, scrive.
Ragionamento ineccepibile.
Perchè, allora, avevo finora evitato di intervenire sull’argomento?
Perchè vedo la cosa da una diversa prospettiva. Sotto certi aspetti anche più severa.
Primo: io, come Gily e Pignataro, faccio il giornalista. Poichè la sentenza offende i giornalisti (e la loro etica interna: come ben scrive Luciano, tra colleghi ci si difende con la penna e non con la carta bollata), la libertà di stampa e il prestigio della professione, credo che solo ai giornalisti spetterebbe di sostenere la sottoscrizione a favore di Maurizio. Elevarlo invece a rappresentante dell’intero “sistema” enogastroagroalimentare italiano mi sembra farlo diventare “parte” di quest’ultimo. Ma se Maurizio ha scritto come giornalista, cioè come osservatore imparziale, e non come esponente di un comparto economico, dovremmo difenderlo noi, non i produttori di vino. La difesa bipartisan mi pare equivoca e non rende un bel servizio a nessuno, nemmeno a Maurizio Gily.
Secondo: la condanna pecuniaria, diciamolo, è di importo modesto. Sostenibile, forse, anche la spesa per l’appello. Aiuto economico a parte, che comunque si offre sempre volentieri, forse però si sarebbe dovuto usare soprattutto il nostro “potere“, quello espresso dalla nostra voce e dai giornali su cui scriviamo, per sollevare rumorosamente il caso nei suoi aspetti più scandalosi: ovvero che c’è un giudice che, decontestualizzando completamente la vicenda, condanna un giornalista per delle opinioni espresse, a suo giudizio, in termini intemperanti.
Per capirci: è vero che la “continenza” fa parte dei doveri deontologici del giornalista, ma il rispetto della regola non può essere valutato fuori dal contesto reale nel quale ci si esprime. Ecco perchè, secondo me, non è accettabile sia che Tessadri abbia citato Maurizio, sia che il giudice l’abbia condannato.

PS: a scanso di equivoci, l’Aset (Associazione Stampa Enogastroagroalimentare Toscana), che presiedo, ha stanziato 300 euro per aiutare Gily nella contesa giudiziaria. Fuori dalla sottoscrizione generalista, però. Da giornalisti a giornalista.