Oggi è la giornata mondiale dei negozi di dischi, un appuntamento che (come scrissi qui nel 2017) comincio a trovare inutile. Ma siccome chiunque abbia frequentato quei luoghi magici ha qualcosa da raccontare, ecco la mia storia sui record store. Chiusi, però.

 

Soundtrack: Neil Young, “Out on the weekend

 

Forse l’ho già scritto, ma il lettore mi scuserà.
Trascorsi l’agosto del 1977, causa esami di riparazione, a Firenze.
Non so se nella mente dei miei dovesse quello essere un soggiorno punitivo o solo un contesto più idoneo a uno studio di cui, a essere sinceri, avevo tanto poco bisogno quanto nessuna voglia, ma resta il fatto che rimase un mese indimenticabile.
Non solo perchè fu il mese in cui morì Elvis, cosa che lì per lì lascio me, scellerato quasi diciassettenne, appena turbato, ma perchè approfittando delle giornate interminabili, dell’atmosfera pigra e dei libri ermeticamente chiusi, potei dedicarmi anima e corpo a quella che, nel giro degli amici, venne battezzata in seguito l’esegesi discografica statica e l’esegesi discografica dinamica.
Dicesi statica l’esegesi domestica dedicata all’approfondimento musicale e discografico con annessi e connessi (ascolti analitici, ricerche e studi, traduzione testi, letture), dicesi dinamica quella dedicata al setacciamento scientifico delle fonti di approvvigionamento della materia prima, cioè i negozi di dischi.
Ecco, era qui che volevo arrivare.
Ricordo benissimo il momento in cui ebbi l’intuizione, il flash.
Mattina verso le 10, aria già troppo calda. Io sono rintanato nel mio studio al seminterrato, altrimenti detto bunker, luce filtrante, poster, riviste musicali, stereo ovviamente acceso. Comincio a progettare come trascorrere la giornata e il primo pensiero va a un tour dei consueti negozi di dischi. C’è un problema, però: è agosto e so per certo che sono chiusi. “Possibile – mi chiedo – che lo siano proprio tutti?“.
Prendo le Pagine Gialle e vado alle voci dischi, musica, radio/tv. All’epoca era infatti frequente che chi vendeva elettrodomestici vendesse anche vinile. Spunto gli esercizi che conosco già e conto quelli rimasti: sono una trentina. Certo, a pensarci oggi è incredibile: nel 1977, nella sola, piccola Firenze, c’erano almeno cinquanta negozi di dischi. E ognuno di essi, per com’era strutturato il mercato allora, poteva (più per caso che per studio, in verità) custodire qualche polveroso tesoro. Perchè a quei tempi i dischi si cercavano, ma soprattutto si trovavano.
Comunque individuo questa trentina di negozi da visitare.
Faccio le cose per bene: prendo Tuttocittà, li colloco uno per uno sulla mappa, la suddivido per quartieri o zone e pianifico l’esplorazione per quello ed i giorni a seguire.
Ne sortirà un viaggio surreale in una città deserta, tra strade vuote, marciapiedi polverosi, periferie cadenti come solo nei ’70 potevano essere, trasferimenti interminabili su viadotti assolati, pensionati boccheggianti in canottiera, bandoni serrati per chilometri. Il tutto a cavalcioni di un ridicolo micromotorino 50 cc, fumante e puzzolente, che partiva solo a spinta ma che grazie a qualche ritocchino toccava i 70 kmh e ai semafori non lasciava scampo a Ciao, Bravo, Boxer, Vespa, etc.
Tornavo a casa sudato, sporco di smog e pulviscolo. Doccia, poi birra gelata, poltrona e rock and roll.
Bottino discografico zero, perchè il 99% dei negozi visitati era appunto chiuso, ma col bagaglio di una conoscenza capillare della rete vinilcommerciale cittadina che sarebbe stata un tesoro negli anni a venire.
Quelli furono i miei veri Record Store Days. Veri perchè erano veri anche i negozi, la loro essenziale funzione di prossimità, il loro concreto ruolo nel mosaico socioeconomico della città.
Il 33 giri, sebbene caro per le mie tasche, era infatti un prodotto davvero popolare, ad alta diffusione. Tra le tante porcherie, succedeva che il negoziante tenesse anche qualcosa di buono (nella maggioranza dei casi senza saperlo) ed era proprio quel buono che ti aspettava lì, pazientemente, rimanendo nascosto magari per anni negli scaffali fino al momento in cui, sussultando, non lo scoprivi, con la gioia di chi ha trovato una pepita nel setaccio.
Di tutto ciò, che oggi si celebra, non è rimasto nulla.
Non vale il pur gratificante mercato dell’usato, non valgono i negozi che vendono solo rarità costosissime, non valgono quelli che hanno vinile nuovo e ristampe da mezzo chilo per nostalgici danarosi.
Per questo dico che il Record Store Day mi ha un po’ stufato e che, come scrissi dodici mesi fa, anzichè i negozi di dischi andrebbe celebrato chi quei negozi li frequentava.

 

NB: il pezzo prescelto come colonna sonora di questo post è ovviamente quello che riempì quella remota estate urbana.