Oggi, all’inaugurazione del 260° anno accademico, i Georgofili hanno lanciato l’ennesimo appello per il salvataggio dell’agricoltura, settore ormai emarginato anche dalle politiche comunitarie. Paragonandola alla protagonista della celebre fiaba.

Il professor Luigi Costato l’ha definita, senza molta fantasia (ma non credo il suo scopo fosse di essere originale), la “Cenerentola europea”. Ovviamente parlava di agricoltura. E lo faceva da una tribuna prestigiosa come quella del Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, a Firenze, per l’inaugurazione del 260° anno accademico dell’Accademia dei Georgofili.
Non un pulpito qualsiasi, insomma.
Eppure non è mancato chi ha un po’ sbuffato, scambiando l’accorato appello di Costato, e quello parallelo del presidente, il professor Franco Scaramuzzi, per il solito lamento vagamente moralistico dei soliti agricoltori, che si lagnano per il solito raccolto andato male e la solita sottovalutazione del loro ruolo nella società (post)industriale.
C’era invece molto di più da cogliere – oltre alla congerie di dati e di considerazioni – nei dotti interventi e nella metafora fiabesca scelta dai due studiosi.
Bastava pensare bene alla trama della favola.
In cui l’eroina non si limita, allo scoccare della mezzanotte, a perdere la scarpetta grazie alla quale il principe potrà ritrovarla e lietamente impalmarla. La ragazza infatti va al ricevimento a bordo di zucca trasformata in carrozza e trainata da topolini magicamente divenuti cavalli. I quali tutti, alla medesima ora fatale, tornano a essere quello che erano prima.
Ecco, il rischio che il mondo agricolo sta correndo nel vecchio continente non è tanto di non ritrovare un principe azzurro che, diciamolo, dev’essere partito per altri lidi parecchio tempo fa, ma attardarsi tanto da perdere la zucca, il mezzo di locomozione. Di perdere insomma, per cambiare metafora, l’ultimo treno. Il che significherebbe l’immobilità e, di conseguenza, la morte economica.
Della progressiva atrofia agricola continentale esistono già numerosi sintomi, spesso sottovalutati o scambiati con fenomeni diversi. La riduzione della popolazione rurale, con la dispersione identitaria e culturale che ciò comporta. La progressiva perdita della SAU (la superficie agricola utilizzata), vittima della cementificazione da un lato e dell’abbandono dall’altro, conseguenza di una marginalizzazione sempre più estesa di aree una volta fiorenti. E’ il cosiddetto consumo del suolo.
Una convergenza di fattori che potrebbe avere uno sbocco esiziale se, come sta accadendo, anche la politica europea (quella nazionale ci ha già pensato da sola da un pezzo) cessasse di attribuire al comparto agricolo quella centralità socioeconomica che finora gli ha consentito – a costi, è vero, molto alti, tali da egemonizzare buona parte del bilancio comunitario – di sopravvivere.
Anche di questo calo di interesse sostanziale, tuttavia, gli indizi abbondano, come dimostrano le estenuanti trattative per l’approvazione di una PAC, la politica agricola comune, sempre più strumento di scambio per intese e compromessi ad ampio raggio e sempre meno reale leva di sostegno al reddito degli agricoltori. Che è poi l’unica àncora, oltre alla proverbiale testardaggine, in grado di mantenere la gente legata a quella terra e a quel paesaggio di cui, a parole, tutti si dichiarano paladini.
Parliamone“, ha esortato Scaramuzzi concludendo la sua introduzione. E, da attento osservatore, non ha parlato a caso, avendo chiaramente intercettato i segnali della calante percezione della questione agricola nell’orizzonte dialettico della gente comune.
L’attuale politica comunitaria considera l’agricoltura come l’ultimo dei suoi problemi – gli ha fatto eco Luigi Costato – dimenticando che i cibi tendenzialmente stanno diventando, nel mondo globalizzato, più scarsi di quelli necessari, mentre i rimedi che si stanno proponendo agli enormi problemi aperti dal disaccoppiamento (cioè dal pagamento di premi comunitari a prescindere dalla produzione effettiva, ndr) non appaiono molto più che palliativi. E coloro che si preoccupano, mi pare con qualche ragione, del land grabbing – ha chiuso – dovrebbero comprendere che il solo, vero, modo per contrastarlo consiste nell’aumentare l’offerta di prodotti agricoli a destinazione alimentare e nell’accumulare scorte di essi, per rendere stabili e sicuri i mercati, per cercare di diminuire i rischi di sbalzi nei prezzi e scoraggiare le speculazioni su questi beni essenziali. Anche al land grabbing si può rispondere non con il ritorno a un’agricoltura primitiva ma con l’abbondanza di scorte e di offerta, in una parola correggendo sensibilmente, per quanto attiene l’Europa, la PAC, facendo riprendere la sovranità alimentare all’UE, che si potrebbe così dotare di strumenti d’incentivo e disincentivo della produzione di ciò che più serve all’uomo su questa terra, il cibo, e avere a disposizione, di conseguenza, anche validi strumenti di politica estera“.
Insomma, se la scarpetta sono i sostegni all’agricoltura, la carrozza è la politica che conduce al ballo.
E a perdere la zucca poi si resta senza scarpe (oltre che senza il resto).