Si svolgerà a Pisa per il 20/4 la prossima assemblea di agricoltori “arrabbiati” contro il crollo dei prezzi e la morte annunciata della cerealicoltura di collina (e non solo). Dalla Sicilia al Piemonte si ingrossa l’arcipelago dei comitati. Molte idee e anche molte divergenze, ma la rabbia sale. Disorientate le organizzazioni, muta (per ora) la politica.

A 150 dallo sbarco di Garibaldi a Marsala, stavolta sono i gruppi spontanei degli agricoltori siciliani ad essere pronti a unirsi nella lotta a quelli toscani e del “continente” per salvare dal fallimento le loro aziende, mentre ovunque proseguono gli incontri informali e il dibattito sul come (ma non certamente sul se) della protesta.
E per il 20 aprile, intanto, è annunciata a Pisa un’altra megariunione di contadini furibondi.
A guidare la rivolta (per ora) silenziosa del mondo agricolo contro la spirale di ribassi che sta uccidendo il settore sono i cerealicoltori, condotti all’asfissia da una caduta dei prezzi che appare senza ritorno e in molti casi rende l’attività del tutto antieconomica: i costi sono più alti dei ricavi, quindi lavorando non solo non si guadagna ma ci si indebita. In mancanza di serie alternative, dicono gli interessati, la possibilità è una sola: cessare l’attività e abbandonare i campi.
Naturalmente non su tutto c’è accordo, perchè l’Italia è grande e le condizioni sono spesso diversissime: chi vive in territori ad alta produzione e, di conseguenza, non percepisce aiuti comunitari, vorrebbe ad esempio che fosse istituito una sorta di prezzo minimo garantito del prodotto, chi invece opera in zone collinari difficili, dove le rese sono basse, i costi doppi e il guadagno non può essere sostenuto dai volumi produttivi, chiede l’introduzione di un aiuto diverso, non legato al quintale ma, ad esempio, agli ettari coltivati.
Alla fine, però, la questione che riunisce tutti, agricoltori di pianura e di collina, cerealicoltori e allevatori, orticoltori e olivicoltori è una sola: serve, e presto, una mano seria e duratura per non chiudere. Con le conseguenze che questo avrebbe non solo sotto il profilo strettamente economico, ma anche sociale, idrogeologico, ambientale, paesaggistico e sul relativo indotto, dal commercio di sementi e concimi al turismo.
Molte le idee e molte le richieste, alcune ragionevoli e alcune utopiche, che si levano da quelli che sempre più assumono i connotati di nuovi “comitati di base” agricoli, svincolati e spesso ostili alle organizzazioni di categoria, ritenute inefficienti e a volte colluse coi responsabili di una situazione lasciata colpevolmente maturare per troppo tempo ed arrivare al punto di non ritorno odierno.
L’elenco dei desiderata stilato dai cerealicoltori è lungo: dall’obbligo della tracciabilità della pasta, in modo che quella “made in Italy” sia fabbricata davvero con grano italiano al 100%, all’introduzione di controlli di qualità sul prodotto internazionale in arrivo nei porti e commercializzato nelle Borse Merci, dall’introduzione di un tetto alle importazioni parametrato alla reale consistenza delle scorte nazionali alle garanzie sul mancato reddito derivante dalla cessazione degli aiuti Ue prevista per il 2013.
Tutto nel pentolone, insomma. Ma è un pentolone che bolle e sta cominciando a traboccare.
Nell’ambiente si parla già molto di quest’inusuale ribellione degli agricoltori. Una ribellione a cui le organizzazioni guardano ora con un misto di timore e di sorpresa. Muto, per ora, il mondo politico, forse indeciso sulle posizioni da prendere al cospetto di un movimento che pare del tutto trasversale e slegato da qualunque ideologia o simpatia partitica. Ancora ignara, infine, l’opinione pubblica, per informare e sensibilizzare la quale nei campi si pensa però ad azioni di protesta clamorose e durature.
La sensazione generale, insomma, è che la miccia sia stata accesa e il conto alla rovescia cominciato. Verso cosa, non si sa ancora. Il tempo, del resto, è poco. Le aziende sono a un passo dal collasso e dall’asfissia finanziaria. Lo spettro dei “rientri” bancari incombe ed è rinvigorito dalle aspettative negative che aleggiano sul comparto. “Prospettive? Nessuna”, dicono i diretti interessati, quindi nulla da perdere. Durante l’inverno molti dei campi non sono stati seminati, un po’ per il tempo cattivo che ha reso impossibile la semina e un po’ perchè, come ha sottolineato qualcuno, “avremmo seminato debiti e poi raccolto debiti”, non prodotti.
A questo punto tutto potrebbe succedere, ma il futuro appare inquietante. Per una volta non le stelle, ma i trattori stanno a guardare.