Tu chiamalo, se vuoi, un cerchio chiuso. O un cane che si morde la coda. O un paradosso diabolico. O un romantico ritorno alla scrittura. Oppure un distillato dell’italianità più pura.
Nell’AD 2021 – se non si vuole recarsi personalmente allo sportello (lontano dieci sterrati chilometri) e lì fare le proverbiali code, si capisce – per comunicare con l’ufficio postale del mio paese, presidio territoriale delle tonitruantissime e digitalissime e multifunzionalissime Poste Italiane, l’unico modo è scrivere loro una lettera. Come si faceva una volta.
L’ufficio in parola ha infatti due telefoni. Uno che da sempre e ad ogni ora squilla a vuoto (notare: non è occupato, squilla proprio a vuoto) e un altro al quale risponde ciò che da vent’anni non usa nè ha più nessuno: il fax.
Posta elettronica? Se c’è, dev’essere segretissima perchè è introvabile. Sul sito delle Poste neanche a parlarne, negli altri siti su google nemmeno. Forse sul deep web, ma a questo punto faccio prima a farmi i detti dieci km etc etc.
Il tutto per usare loro la cortesia di comunicare che un postino troppo distratto o disinformato da un paio di mesi butta a casaccio nella mia cassetta delle lettere la posta destinata a mezzo comune e che, salvo quando mi capita, non posso certo fare io il lavoro di recapito loro e nemmeno, come è già successo, riportare la corrispondenza a quell’ufficio.
Ora scusate ma devo andare a comprare il francobollo…