Dalla prima edizione della kermesse organizzata in Versilia da “Civiltà del Bere” sono usciti stimoli e provocazioni a 360° per il mondo del vino: dal pentalogo di Angelo Gaja ai richiami umanistici di Attilio Scienza e al winetelling di Mike Veseth. Con tanti assaggi, vini coi raspi compresi.

 

A dispetto del nome, VinoVip non è un evento solo mondano.
Anzi, uno dei segreti del successo della kermesse biennale che da molto tempo la rivista Civiltà del Bere organizza a Cortina e da quest’anno, negli anni pari, anche a Forte dei Marmi, sta proprio nella capacità di contemperare l’imprescindibile componente disincantato-gaudente con quella tecnica e professionale, in una ricerca dell’equilibrio che alla fine risulta, anche per merito di un’accurata organizzazione, utile e pure godereccia.
Utile perchè costituisce un’occasione di scambi effettivi e di incontri non sterili tra addetti ai lavori, godereccia perchè non contempla quei momenti di eccessivo affollamento di cui spesso le manifestazioni consimili peccano.

Detto questo, se il momento clou è stato la superdegustazione dei 154 vini presentati dalle 53 aziende partecipanti, tutti grandi nomi, sui ballatoi di un’istituzione versiliana come la Capannina, con vista convergente sulla pista ed il leggendario palco, uno dei momenti migliori è stato invece proprio quello alla vigilia più temuto, ovvero il convegno ospitato al mattino alla Fondazione Villa Bertelli.

Non perchè il tema non fosse interessante, ma per il timore canonico della prolissità, annunciati in una non-stop di tre ore.

Già il titolo era intrigante, a dire il vero (“Wine & Money, prospettiva globale“), come del resto il relatore scelto per introdurlo (l’economista americano, nonchè fondatore di “The Wine Economist”, Mike Veseth), ma a renderlo a dir poco vivace hanno contribuito un Angelo Gaja perfino più istrionico del solito e un Attilio Scienza in smagliante dimensione umanistico-ampelografica. Il discorso attorno l’economia del vino è così transitato dalle case-histories più clamorose dei peggiori vini di successo di oggi (come l’australiano 19 Crimes) e dal tremendo ruolo del potere di suggestione vaticinato per il successo di quello di domani, in un incrocio culturalmente un po’ blasfemo tra le città invisibili calviniane e uno spirito disinvoltamente calvinista, evocati da Veseth, dall’aneddotica torrenziale e gigionissima di Gaja, che ne ha avute di buone e di cattive per tutti, dalle coop vinicole ai vini naturali, dai contributi comunitari e i loro “magici” beneficiari alle fiere del vino, dal giogo burocratico all’incultura dominante, dalla rivalità con la Francia all’ iperliberismo enoico.

E’ partito ancora più da lontano il professor Attilio Scienza. Il quale, prendendo le mosse dalla nozione aristotelica di luogo comune, ha dipanato un ragionamento articolato sulla contrapposizione tra paura e conoscenza come forze generatrici della storia, sulla ciclicità della storia stessa e sulla componente di bugie ed abbagli implicita nel suo racconto, transitando dalla parabola del perenne, ancestrale bisogno di ritorno alla terra, tra Etruschi, Fernand Braudel e Alexis de Tocqueville, per approdare infine al nocciolo: ovvero all’enospauracchio del cambiamento climatico e delle opportunità che esso oggi rappresenta, se affrontato non con fatalismo catastrofista, ma con i molti strumenti di cui già disponiamo, dalla space economy e allo sviluppo delle varietà di vite del deserto, quelle capaci di resistere ai massimi stress idrici e a temperature di oltre 40°. “Ma mancano fondi, organizzazione e una strategia generale“, ha concluso.

Dopo di lui, un commosso Cesare Pillon chiamato sul palco a parlare del suo nuovo libro “Manuale di conversazione vinicola” ma trovatosi invece anche a ritirare a sorpresa il premio intitolato al fondatore di Civiltà del Bere e all’inventore di VinoVip, Pino Khail.

Abbiamo infine trovato (ben volentieri) il tempo per una degustazione comparativa, coordinata dal collega Aldo Fiordelli, di sei campioni di vino ottenuti dalla vinificazione del grappolo intero, la tecnica che, tra il recupero di metodi antichi e le leve del marketing, sta riscuotendo sempre più interesse, soprattutto tra i piccoli produttori.

Se sia e soprattutto sarà vera gloria ancora non so, ma Campill, la Schiava bolzanina Mitterberg Rosso Igt 2015 di Pranzegg, e il Barolo Monvigliero 2015 di Burlotto mi sono piaciuti parecchio.

Vini buoni lo erano di sicuro, vip forse un po’ meno, ma andava bene così.