L’OdG ha diffuso il nuovo Codice Deontologico dei giornalisti, che sostituisce il Testo Unico dei doveri del giornalista ed entrerà in vigore il 1/6/25. Ecco alcune note a margine, in attesa di approfondire.
Poche parole, nel nostro mestiere, sono pronunciate tanto spesso, quanto poi disattese nei fatti, come “deontologia“. Un termine che, tra i giornalisti, evoca non a caso, e contemporaneamente, un malcelato timore e un’esplicita ironia. Anche perchè una vastissima percentuale di colleghi, di quei principi deontologici, ignora perfino l’esistenza. Mentre molti altri fingono di ignorarla e altrettanti se ne fregano. Convinti – non del tutto a torto, ma nemmeno del tutto a ragione – della propria sostanziale impunità e della pratica disapplicazione delle norme.
Naturalmente non si può fare di ogni erba un fascio, ma l’argomento è delicato, è stato più volte affrontato (ad esempio qui e qui) su AF e anche di recente è salito agli onori, si fa per dire, della cronaca e del gossip social. Coll’aggravante che, per ogni caso che emerge, un iceberg di altri resta nascosto sotto il pelo dell’acqua. O sotto il tappeto della coscienza della categoria.
Qualche giorno fa, però, L’OdG ha diffuso ufficialmente un nuovo Codice Deontologico (qui), destinato dal 1 giugno 2025 a sostituire il Testo Unico dei doveri del giornalista attualmente in vigore.
“Frutto di un lavoro complesso – sintetizza l’Ordine – durato un lungo periodo durante il quale la commissione giuridica presieduta da Enrico Romagnoli si è confrontata con enti, sindacati e associazioni che negli anni hanno collaborato con l’Ordine siglando carte importanti che sono state inglobate in questo nuovo codice. E’ un documento sintetico, molto più agile, che raccoglie le regole che i giornalisti sono tenuti a rispettare. Il Codice aggiorna il quadro storico delle regole della professione e introduce importanti innovazioni, a cominciare dalle regole sull’Intelligenza artificiale. Le carte deontologiche sono così storicizzate e continueranno ad essere la cornice del nuovo Codice deontologico, fornendo così approfondimenti per un approccio più responsabile nei confronti del cittadino“.
In generale, la riscrittura e la riorganizzazione della disciplina è più che benvenuta e opportuna.
Occorrerebbe però un’approfondita esegesi del nuovo testo per trarre conclusioni fondate.
Mi limiterò oggi, senza entrare nel merito delle enunciazioni più generali, a sottolineare alcuni punti critici e a sollevare alcuni interrogativi, nella consapevolezza che la credibilità della professione, o il poco che ne resta, passa anche o forse soprattutto dal recupero della nostra affidabilità etica.
Articolo 19: intelligenza artificiale.
1. Fermo restando l’uso consapevole delle nuove tecnologie, l’intelligenza artificiale non può in
alcun modo sostituire l’attività giornalistica. 2. Quando si avvale del contributo dell’intelligenza artificiale, il giornalista: a) ne rende esplicito l’utilizzo nella produzione e nella modifica di testi immagini e sonori di cui assume comunque la responsabilità e il controllo, specificando il tipo di contributo; b) verifica fonti e veridicità dei dati e delle informazioni utilizzati. 3. In nessun caso il ricorso all’intelligenza artificiale può considerarsi esimente in tema di obblighi deontologici.
E’ dunque lecito che l’editore o il direttore dicano alla ciurma “gli articoli fateli scrivere dalla I.A., poi dopo li riguardate“? Ciò è un uso “consapevole“? Ed è deontologicamente lecito che il giornalista si adegui a un tale ordine gerarchico?
Articolo 22: pubblicità.
Il giornalista: a) assicura ai cittadini il diritto di ricevere un’informazione sempre distinta dal messaggio
pubblicitario attraverso chiare indicazioni; b) non presta il nome, la voce, l’immagine per iniziative pubblicitarie o per promuovere marchi e prodotti commerciali. Sono consentite, a titolo gratuito e previa comunicazione scritta all’Ordine regionale di appartenenza, analoghe prestazioni per iniziative volte a fini sociali e umanitari; c) cita marchi e società commerciali soltanto qualora siano indispensabili alla completezza dell’informazione o costituiscano essi stessi motivo di notizia; d) non inserisce collegamenti pubblicitari o altri riferimenti promozionali all’interno di contenuti informativi online.
Tema su cui ci sarebbe da scrivere un’enciclopedia. Domanda di sintesi: siccome, nella vita quotidiana, quanto proibito nell’articolo si verifica invece costantemente, alla luce della nuova norma sussiste o no, in capo all’OdG e/o agli organi di disciplina, un obbligo di sorveglianza e di azione disciplinare diretta, come sembra disposto dal successivo art. 34? Ad oggi, infatti, essa viene, di fatto, esercitata solo su esposto. Caso che, per ragioni anche comprensibili, non ricorre quasi mai e lascia quindi scoperto il 99% dei malestri.
Articolo 30: solidarietà e lavoro.
1. È obbligo del direttore responsabile e delle gerarchie redazionali il corretto impiego di giornalisti , considerando che la richiesta di prestazione cui corrisponda un compenso incongruo, lede la dignità professionale e pregiudica la qualità e l’indipendenza dell’ informazione. Di conseguenza la il giornalista che rivesta ruoli di coordinamento del lavoro: a) si impegna affinché i compensi delle colleghe e dei colleghi siano adeguati alle prestazioni; b) garantisce il diritto ai giorni di riposo, ferie e orari di lavoro compatibili secondo i contratti di riferimento; c) vigila affinché, a seguito del cambio delle gerarchie redazionali, non vi siano ripercussioni dal punto di vista economico, morale e della dignità professionale; d) si impegna affinché il lavoro commissionato sia retribuito anche se non pubblicato; e) tutela il diritto di firma e il diritto d’autore.
2. Il giornalista è tenuto a segnalare all’Ordine regionale situazioni di esercizio abusivo della
professione e di mancato rispetto della dignità professionale.
3. I titolari di un trattamento pensionistico per attività giornalistica, a qualunque titolo maturato, non possono essere nuovamente impiegati dal medesimo datore di lavoro anche con forme di lavoro autonomo, ed inserite i nel ciclo produttivo in identiche condizioni e/o per l’espletamento delle stesse funzioni che svolgevano in virtù del precedente rapporto, neppure per il tramite di service esterni, fatta salva la fattispecie della prestazione occasionale.
4. Il direttore responsabile non può rifiutare immotivatamente di riconoscere la compiuta pratica giornalistica.
5. Il giornalista non si attribuisce la titolarità di testi, immagini, riprese audio e video, non realizzati, provenienti da fonti o mezzi di comunicazione di qualsiasi genere.
Altro tema incandescente. I punti 1.a) e 1.d) mi paiono petizioni di principio del tutto slegate dall’odierna pratica. Il punto 2) mi pare pleonastico: l’obbligo di segnalazione degli abusi c’era anche prima, ma il problema è ciò che consegue alla segnalazione (cioè, attualmente, pressochè nulla), non l’obbligo di segnalazione in sè. Il punto 3) mi pare ambiguo: al netto dell’opacità della fattispecie della “prestazione occasionale” (che è facilmente camuffabile), a mio modesto parere la questione è, da sempre, un’altra. Ossia: nulla di male che il pensionato continui a lavorare da autonomo, anche per lo stesso editore e sugli stessi argomenti, ma a condizione che lo faccia con remunerazioni o agevolazioni che non lo pongano in condizioni di concorrenza sleale coi colleghi privi di vitalizio. Tutti bravi, sennò, a lavorare gratis o quasi, quando in redazione conosco tutti e a fine mese ricevo l’assegno. Punto 5) Bisognerebbe vietare la funzione copia-incolla…
Articolo 31: equo compenso.
1. Il giornalista non può concordare o preventivare un compenso che, ai sensi e per gli effetti delle vigenti disposizioni in materia, non sia giusto, equo e proporzionato alla prestazione professionale richiesta e non sia determinato in applicazione dei parametri previsti dalla norma di riferimento. 2. Quando il giornalista predispone convenzioni, contratti o altri accordi, aventi per oggetto l’esercizio dell’attività professionale, ha l’obbligo di informare il committente che è nulla la pattuizione di compensi che non siano giusti, equi e proporzionati alla prestazione richiesta e determinati in applicazione dei parametri previsti dalla norma di riferimento.
Ahiahiahi… qui il ridicolo, o meglio il tragicomico, prevale: “parametri previsti dalla norma di riferimento“? Quali? E’ dal 2012 che ci si gira intorno. Una grottesca vicenda politico-sindacale all’italiana. Di fatto, una norma priva di sanzione e, pertanto, inapplicabile.
Articolo 32: uffici stampa.
Il giornalista negli uffici stampa: a) separa il proprio ruolo da quello di altri soggetti che operano nel campo della comunicazione o del marketing; b) non esercita per tutta la durata dell’incarico attività che possano determinare conflitti d’interesse con le sue attribuzioni; c) garantisce nelle istituzioni di natura assembleare il pieno rispetto della dialettica e del pluralismo.
Questione cronica, colossale o ormai tracimante, che certamente non basta enunciare ma su cui occorrerebbe intervenire subito, in modo esemplare. Inutile dire che finora accade regolarmente il contrario di quanto stabilito e che su questo ci siamo giocati fin troppo la faccia.
Articolo 34: procedimenti disciplinari
1. Il giornalista che si renda responsabile di violazioni del presente Codice è sottoposto a procedimento disciplinare. 2. Il procedimento disciplinare è avviato d’ufficio oppure su segnalazione di qualsiasi persona fisica o giuridica. 3. È incolpabile a titolo di manifesto disconoscimento dei principi deontologici il giornalista che sia stato sanzionato con una decisione non più impugnabile e sia nuovamente incolpato nell’arco di un quinquennio dal precedente provved imento disciplinare, per aver violato il medesimo principio; la reiterazione della stessa violazione comporta l’applicazione della sanzione almeno immediatamente più grave.
La chiave ovviamente è il punto 2), che sancisce l’avviabilità del procedimento anche d’ufficio, ossia al momento in cui l’OdG viene a conoscenza della violazione. Il problema è che gli Ordini regionali non hanno nè le risorse, nè la struttura, nè spesso la volontà per avviare procedimenti anche in casi conclamati, a meno che non vengano chiamati in causa da una segnalazione, di fronte alla quale non possono astenersi. In pratica è una giustizia che nasce spuntata per radici lontane, tra le quali anche un sistema di accesso alla professione che di fatto rilascia, o meglio è tenuto a rilasciare titoli professionali pure a chi non ha dimostrato di sapere nulla, nè è tenuto a dimostrare di sapere professionalmente nulla, per riceverli.