Dicono che a Natale bisogna essere tutti più buoni, ma siccome oggi è Pasqua posso essere cattivo come al solito. Anche se in verità non lo sono, ma mi fanno diventare.
Del mio infelice rapporto con i corrieri (le aziende, più che gli autisti) le pagine di questo blog e di Fb sono piene. Per calzanti esempi, vedasi qui.
La ragione è sempre la stessa: i disservizi clamorosi e le pietose scuse con cui essi tentano di camuffarli.
La più ricorrente e da tempo smascherata è il trucco della “tentata consegna“. In breve: a consegnare nei termini promessi non ci provano nemmeno ma, siccome devono giustificare il bidone tirato tanto al mittente quanto al destinatario, fingono – a dispetto di telecamere e di cassette postali – di essere venuti a casa e di non aver trovato nessuno, mandandoti un’email per avvertirti che sono stati  costretti a “lasciare un avviso” (di cui, al pari della loro epifania, ovviamente non c’è traccia) esibendo il quale potrai provvedere di persona al ritiro presso il loro deposito. Sostanzialmente vorrebbero che facessi tu il lavoro per il quale loro sono pagati.
Segue inevitabile ping pong di proteste, lamentele e telefonate destinate, si capisce, a restare lettera morta.
Giorni fa, però, si è avuta una decisa escalation, che la dice lunga sul livello di dolosa cialtroneria di costoro.
Aspettavo il solito pacco che naturalmente non è arrivato, sebbene la mia dimora fosse stata presidiata da tre persone per tutto il giorno.
Alle 23 arriva l’inesorabile email sul fallito “tentativo di consegna“.
Esplode l’ira funesta.
Tanto per cominciare, via chat faccio uno shampoo con soda caustica al referente di Amazon, che spergiura di inoltrare subito un sanguinoso messaggio di protesta al corriere.
Devo essere stato molto convincente, perché la mattina dopo mi chiama davvero il responsabile della filiale della ditta di trasporti in persona.
Sulle prime prova a buttarla sul pacato-burocratico-accondiscendente-annoiato, ma di fronte alle mie incalzanti e poco concilianti repliche commette l’imperdonabile errore di diventare irridente.
Forse lei non ha capito – scandisce dopo svariati arrampicamenti sugli specchi – che quelle che ha ricevuto sono email che partono in automatico“.

Segue mia pausa di silenzio raggelante.

Ahiahiahiahiahi!
Dunque“, ruggisco io, “lei mi sta dicendo, anzi confessando che il destinatario viene prima truffato con promesse di puntualità consapevolmente non mantenibili e dopo pure calunniato per default, scrivendogli falsamente, nero su bianco, che se la consegna non è avvenuta è perché lui non era in casa? E se per caso, come nel mio, c’era? E, peggio ancora, se chi ci doveva essere c’era ma, al cospetto delle vostre precostituite affermazioni mendaci del contrario, deve ora giustificarsi davanti a congiunto o a un datore di lavoro per un’assenza che non era tale? Vi rendete conto che così facendo affermate a priori il falso e che adesso lei me lo confessa pure, candido candido?“.

Il già baldanzoso responsabile della filiale tace.

Tace anche di più di fronte alla mia successiva minaccia di sputtanarli tutti.

Forse tace anche oggi: magari ha aperto l’uovo di Pasqua e al posto della sorpresa ha trovano un bigliettino che dice di andare a ritirarla direttamente presso il produttore dolciario, che ha tentato di inserirla ma l’uovo si è chiuso prima.

Happy Easter…