Oltre alla conferma di eterni pruriti, la popolare app (ora chiusa, ma altrove già risorta) per “vedere” sotto i vestiti rivela anche una preoccupante tendenza generale a pelose ondate moraliste. E prova che comunque, grazie al web, il rimbambimento collettivo è diventato irreversibile.

 

Premessa per gli under 40: L’Intrepido è stato un glorioso settimanale per ragazzi tra gli 8 e i 16 anni (dell’epoca, non certo di oggi, diciamo dalla tarda infanzia alla prima prurigine), pubblicato dall’anteguerra fino agli anni ’90 e dedicato principalmente allo sport e ai fumetti. Nell’epoca in cui lo leggevo io, tra i ’60 e i ’70, aveva anche articoli, rubriche, interviste nonchè le pubblicità di giocattoli, merendine, fonovaligie e similia. E poi c’era la pagina di una ditta, che salvo errori si chiamava Govj Import, che reclamizzava paccottiglia “tecnologica” per giovanissimi, tipo la micromacchina fotografica “delle spie”, la penna ad inchiostro simpatico e i leggendari “occhiali a raggi x”, la cui ottica vagheggiava di poter oltrepassare la coltre degli abiti per consentire di vedere cosa c’era sotto.
Naturalmente era una bufala: una montatura in plasticaccia con lenti di cartone e un buchino polarizzante al centro che, guardandoci dentro, creava attorno al soggetto una sorta di alone e al tempo spesso ne smagriva la silouhette, dando appunto l’impressione di vedere il profilo del corpo (ma non i dettagli del medesimo per i quali, presumibilmente, gli occhiali venivano invece acquistati).
L’estetica e la grafica della pubblicità sono più o meno le stesse che si ritrovavano il DeepNude, la app – divenuta  popolare al punto da meritare un articolo sul Corriere on line – la quale, prima di essere chiusa dopo miriadi di download, consentiva di vedere (immaginariamente) nudo chiunque: bastava inserire la foto del prescelto o anzi della prescelta e il sistema, comparandola con un archivio di migliaia di immagini e trovando lì il corpo senza veli più vicino al soggetto, sovrapponeva le due figure. Così, voilà: eccoti come mamma fantasiosamente ti ha fatto.

Purtroppo ho appreso dell’esistenza di DeepNude solo a sospensione avvenuta, ma leggere della vicenda mi ha stuzzicato quattro riflessioni.

La prima è che non si inventa nulla. Al massimo la tecnologia ripropone, migliora e riedita vizi, virtù e pruriti che esistono da quando esistono i buchi delle serrature attraverso i quali sbirciare e forse anche da prima. Con la differenza che il voyeurismo digitale non ha nemmeno il brivido del rischio e del proobito, oltre a non lasciare nulla a quell’immaginazione che è il sale della fantasia, dell’eccitazione, del trasgredire.

La seconda, anche più preoccupante, è che in un mondo in cui, almeno in occidente, ci si spoglia in continuazione, si ammicca, ci si ostenta, ci si vanta di farlo, si predica di aver perduto ogni pudore, bollando quest’ultimo come un retrivo retaggio da anziani, si raccomanda la libertà dei costumi fino all’annullamento di ogni freno inibitore, per divertimento si filma e si fotografa l’intimità più intima (salvo poi pentirsi di averlo fatto), al tempo stesso ci si indigna per il successo di un giochino naturale e vecchio come il cucco, si vergano articolesse pensose e moraleggianti, si strepita contro presunti sessismi, si caldeggiano rivolte femministe, si fanno richiami politicamente correttissimi, ci si appella a superiori autorità morali tanto misteriose quando di dubbia autorevolezza. Mah…

La terza è che se, come ho detto sopra, un caso del genere diventa un fenomeno sociale e conquista le prime pagine dei giornali, i casi sono due: o i giornali non servono più a nulla o noi ci siamo completamente rimbecilliti. Propendo per la seconda ipotesi.

Quarta riflessione: gli occhiali a raggi x nascevano per un pubblico di adolecenti iperormonali e brufolosi, il che li rendeva goliardici e tutto sommato teneri. DeepNude invece è – come del resto la rete – per tutti, dai settenni ai novantenni. Il che rimanda, sconsolatamente, alla riflessione numero tre.