Il quartetto svedese, simbolo del pop anni ’70, se ne esce con una terrificante reunion senile a base di ologrammi e abbigliamenti che mandano in cenere i ricordi e le fantasie anche dei fan più accaniti. Aridatece la “Waterloo” d’antan!

 

Non c’è, nè c’è mai stato, pericolo che io sia un fan degli ABBA.

Ma come per tutti quelli della mia generazione, adolescenti nella seconda metà degli anni ’70, anche per me il gruppo svedese e i loro tormentoni pop sono stati un’involontaria colonna sonora della vita: io ravanavo nei negozi di dischi in cerca di vinili oscuri e nell’aria dei negozi echeggiavano comunque “Mamma mia“, “Fernando“, “The winner takes it all”. Anche alle festicciole, nonostante il controllo integralista che io e altri imponevamo nella scelta delle musiche, qualcosa sfuggiva e gli ABBA si affacciavano sul giradischi.

Non erano nemmeno antipatici, in fondo, con quel loro tremendo stile sexinfantile, minigonne e pupazzi, tacchi glam maschili più alti di quelli delle donne, tutine luminescenti. In qualche modo hanno segnato uno stile. Kitsch, ma pur sempre stile.

Mi imbattei la prima volta in loro quando vinsero l’Eurofestival del 1973 con “Waterloo”, quella col direttore d’orchestra vestito da Napoleone. Mia madre comprò il 45 giri, che ancora conservo.

Leggo che hanno venduto 400 milioni di dischi (possibile?), ma al di là dei numeri non si può negare che fossero un fenomeno veramente internazionale.

Poi sono invecchiati, si sono sciolti e boh, non li seguivo allora nè li ho seguiti dopo.

Ora però, ultrasettuagenari, si sono ricostituiti e preannunciano un nuovo disco per novembre.

Un’operazione-nostalgia triste e prevedibile, ma non più di tante altre reunion del pop. Anche la terza età, del resto, ha le sue esigenze e un briciolo di amarcord, condito da ricche royalties, non si nega a nessuno.

La notizia agghiacciante è invece un’altra.

Anzi, più che una notizia è un’immagine: il quartetto non si ripropone in una pur levigata versione senile con canizie, pancetta, qualche ruga scampata ai filtri, occhiali e scarpe basse, bensì con un terrificante look futuribile che mescola, con una comicità tanto inconsapevole quanto irresistibile, Pac-Man e Mork&Mindy, Robozao e B-movies di fantascienza. Tutine borchiate e sneakers taccate.

C’è da chiedersi se un tale orrore sia il frutto del proverbiale cattivo gusto scandinavo o se il tutto, cosa che sarebbe sconsolante, sia il risultato delle ricerche di marketing che l’industria dello spettacolo è bravissima a compiere sulle tendenze medie dell’ormai omologato consumatore mondiale.

E siccome le disgrazie non vengono mai da sole, per il 2022 annunciano pure un virtual tour mondiale in cui si esibiranno non in carne ed ossa, ma sotto forma di ologrammi di se stessi, con una banda vera che suona loro intorno.

Argh…aridatece gli stacchi di cosce di Agneta e Ana-Frida, per favore!

Quelli almeno facevano fare sogni veri invece che produrre sussulti da reparto geriatria.

 

PS: qualcuno mi contesta che le tutine della foto servano in realtà ad animare gli ologrammi elettronici. E sia. Ma il senso di farcisi fotografare dentro, qual è?