Pare che i capolettera miniati dell’iconica copertina di uno dei più begli album dei King Crimson, “Lizard”, siano diventati una serie di sottobicchieri ad uso dei fan. Lugete, o Veneres Cupidinesque, et quantum est hominum venustiorum.
“Il sottobicchiere verde” è il titolo del capitolo-chiave di uno dei più bei libri in assoluto mai scritti sul ruolo controverso ma salvifico del rock and roll, sul conto alla rovescia dell’adolescenza e su quel decennio – chiave anch’esso, ma plumbleo assai – che l’autore medesimo del volume definisce “completamente marrone“: gli anni ’70.
L’autore è Jonathan Coe.
E il libro “La banda dei brocchi” (“Rotters’ club” in inglese).
E’ fissando, sospeso tra l’ebbrezza e l’estasi amorosa, il sottobicchiere verde della sua birra posata sul bancone del pub, che il protagonista del racconto vede a un certo punto la propria vita trasformarsi in un gorgo psichedelico di ricordi e speranze, fato e rammarico, tutti indistintamente inghiottiti dalla spirale del tempo e lasciati lì sospesi, come i sogni, in un capitolo senza punti nè virgole, per pagine e pagine, che toglie il fiato assecondando un flusso di pensieri dall’incedere onirico, calato nella dimensione spaziotemporale magicamente dilatata della giovinezza.
Da allora, la metafora del sottobicchiere verde è diventata per molti la sintesi istantanea di una lunga, articolata serie di stati d’animo un po’ condivisi, un po’ generazionali, un po’ universali.
Ecco.
Ora, chi ha amato quel libro e si è riconosciuto almeno un po’ nel rutilante sottobicchiere verde che risucchia il destino preannunciato di Ben Trotter, provi a pensare di ritrovarlo nuovamente davanti a sè. Ma finto, di vera plastica, come il gadget di un’inutile edizione per collezionisti del venerato, consumato, annotato, vissuto volume originale.
Un sacrilegio, non vi pare?
E immaginate allora come mi sono sentito io quando, fresco reduce dal sontuoso concerto crimsoniano del 9 novembre scorso a Firenze (che tra l’altro aveva “Cirkus” in scaletta), scopro su Facebook che il merchandising della band offre, tra le altre già deprecabili cose, una serie di sottobicchieri riproducenti nientepopodimeno che i capolettera miniati che ornano il terzo album dei King Crimson: il bellissimo, raffinato, complesso “Lizard“. Gosh!
Costo della pacchianata: 45 dollari.
E tra i fan c’era pure chi inneggiava all’iniziativa, vagheggiando regali natalizi e salvadanai sbriciolati per acquistare il feticcio ad bevutam.
Innocente commercio, dirà qualcuno. Certo, è vero: innocente commercio. E nulla di nuovo sotto il sole. I fan sono fan e se non si comportassero da fan, che fan sarebbero? Nella vita, del resto, ci sono cose più gravi e fenomeni ben più deprecabili.
Tutto questo, però, mi ha profondamente depresso. Mi ha fatto sorgere domande del tipo: ma possibile che anche il più sfegatato dei seguaci non sappia trovare da comprare nulla di meno kitsch dei sottobicchieri con la copertina di Lizard? Sono ciechi loro o è l’industria che tratta gli appassionati da tonti?
Evidentemente, un po’ tutte e due le cose, bisogna rassegnarsi.
La faccenda, comunque, mi ha un po’ maliziosamente ricordato il celebre indovinello della differenza che c’è tra i soldatini e altro di ben più carnale. A cui si risponde che chi non sa, o non capisce, è meglio che continui a giocare con i soldatini.
O con i sottobicchieri.
Piangete, o Veneri e Cupidi, e quanto resta degli uomini sensibili…