Pensavate che il diario on line fosse la più diffusa e banale espressione di narcisismo digitale? Illusi. La sindrome del “todos caballeros” dilaga e crea mostri ormai “furbi”: come quelle (e quelli) che, con la scusa di “recensire” prodotti, li scroccano.

L’incipit è disarmante, diretto, esplicito. Messo proprio sotto al nome. Lo riporto così com’è scritto, in maiuscolo:
SEI UN’AZIENDA E VUOI AUMENTARE LA TUA VISIBILITA‘ SUL WEB? MANDAMI I TUOI PRODOTTI DA TESTARE E LI RECENSIRO’ SUL MIO BLOG CONDIVIDENDOLI CON I MIEI FOLLOWERS E SUI PRINCIPALI SOCIAL MEDIA. CONTATTAMI AL MIO INDIRIZZO EMAIL“.
Si tratta di un blog, uno delle migliaia esistenti sugli stessi argomenti, in questo caso cucina e gastronomia.
La titolare scrive a un’azienda vinicola, presumo come ad altre centinaia, e candidamente dichiara: “Buongiorno, ho un blog e mi piacerebbe avere la possibilità di provare i vostri prodotti e recensirli. In attesa di un cortese riscontro porgo cordiali saluti, XY“.
E’ l’uovo di Colombo della casalinga di Voghera, che ha trovato il modo di sbarcare il lunario facendo la spesa gratis grazie ai babbei che abboccano alle sue offerte.
A lei, Vanna Marchi le fa un baffo. Soldi in cambio di scioglipancia e le magie del mago Dos Santos? Macchè, roba superata.
Questa è l’era della decrescita, della crisi, insomma del baratto.
I commerciali lo chiamano scambio merce e, nei giornali, è un eufemismo per dire “marchetta“.
Invece, secondo i cantori della democrazia digitale, che consente a tutti di reinventarsi in tutto – giornalisti, critici e recensori compresi, ma senza nessuno che controlli e sanzioni – è normale. La risposta più comune che danno a chi osserva che c’è qualcosa che non torna, è: che c’è di male? Se ha la “reputation” (io la chiamerei reputtanation, ndr), lo può fare, è suo diritto, è la libertà della rete.
Ancora peggio le repliche delle dirette (anche dei diretti, ma nella specialità le donne surclassano gli uomini) interessate. Che, nell’ordine, si appellano alla “passione” (di che?), al “mi piace scrivere” (ma si può farlo benissimo senza mercede, no?) e al classico “la tua è tutta invidia” (boh… in cosa dovrei invidiare una che si fa mandare il detersivo per lavare i panni con la scusa di “testarlo”? A me pare una poveretta).
Ora, a parte gli inquietanti aspetti fiscali della questione – poichè  chi sistematicamente si fa mandare in gratuità, senza un motivo professionale, dei prodotti commerciali, consegue con ciò un arricchimento, dovrebbe forse su tale arricchimento pagare le tasse, visto che si tratta di un esplicito scambio, cioè una compravendita – io mi chiedo: com’è possibile che ci siano anche dei boccaloni che ci cascano? Cioè, sia delle aziende boccalone che abboccano all’offerta della casalinga di Voghera, sia dei consumatori boccaloni che credono ai “consigli” della medesima? No, perchè se la nostra ha un seguito e dei “followers”, significa che qualcuno le va dietro.
Per non dire della simulata “spontaneità” delle presunte recensitrici, che sono invece tanto scafate quanto tecnicamente e giuridicamente premunite.
Non si spiega altrimenti la presenza, sui blog, di articolati “disclaimer” che le mettono al riparo dai fulmini del diritto e di qualche lettore: “Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge N°62 del 07/03/2001“, dice ad esempio il sito che ho esaminato. “Rare immagini sono tratte da internet, ma se il loro uso violasse diritti d’autore, lo si comunichi all’autore del blog che provvederà alla loro pronta rimozione. L’autore dichiara di non essere responsabile dei commenti lasciati nei post. Eventuali commenti dei lettori, lesivi dell’immagine o dell’onorabilità di persone terze, il cui contenuto fosse ritenuto non idoneo alla pubblicazione verranno insindacabilmente rimossi“.
Insomma, zero responsabilità, zero rispetto del copyright, zero doveri di onestà, veridicità  e trasparenza. Ingenuità e passione c’entrano poco.
Lo scrocco, tanto.
O forse c’entra anche qualche “contributo” versato dagli inserzionisti e non dichiarato?
Sarà anche che a pensare male si fa peccato, ma…