Lì, nel caos per il maltempo, si preoccupano di scusarsi via email se, causa bufera, hai difficoltà a contattarli al telefono. Qui mi ridanno il cellulare dopo più di un mese, ma guasto come prima. E mi dicono pure che, se ero furbo, avrei potuto riaverlo quasi subito.

Il 13 dicembre il mio blackberry va in tilt.
Sentenza agghiacciante: ci vogliono quattro settimane lavorative. “E con le feste di mezzo…“, allude ghignando la commessa.
Mi rassegno, ma a fine anno tento una telefonata esplorativa. La risposta è seccata: “Le avevo detto quattro settimane. E poi l’avvertiamo noi, stia tranquillo“. Sto tranquillo, ma…
L’8 gennaio arriva un sms: “Il suo telefono è pronto“. Bene! Chiamo e la signorina non ne sa nulla: “Forse è il laboratorio che ha mandato il messaggio, l’apparecchio però non è ancora qui“, dice. Ira lievemente montante.
Richiamo il 14 gennaio, stavolta risponde un uomo. E’ incazzato pure lui: “L’avvertiamo noi, è inutile che ci telefoni“. Ormai però sono incazzato anch’io.
Due giorni dopo torno alla carica. Mi risponde la collega del tipo incazzato. Incazzata a sua volta: “L’apparecchio è qui da un sacco di tempo“, esclama. “Perchè non è venuto a prenderlo subito?”.
Io trasecolo e poi mi scaldo: perchè non mi avete avvertito?
L’abbiamo chiamata“, replica lei. Sarà, ma quando? Non c’è traccia di vostre telefonate nè in segreteria telefonica, nè sul vecchio cellulare che ho ripreso a usare. E comunque, dico, richiamare no? Paganini non ripete? Troppo lavoro?
Impegnata a rammentare chi fosse Paganini (“Mai avuto a scuola un ripetente con questo nome“, avrà pensato), la ragazza non risponde.
Ieri vado a riprendere l’aggeggio e subito mi insospettisco: “Riparato l’altoparlante”, mi spiegano. Sì, ma il mio problema era un altro, ribatto. “Sarà stato riparato anche quello“, mi rispondono facendo spallucce.
Soprassiedo per la gioia di aver risolto la grana. Ma il giubilo dura poco: il cellulare, dopo quasi 40 giorni di attesa, continua a non funzionare. Travaso di bile.
Richiamo l’assistenza, lamentando l’inefficienza, il menefreghismo e la prospettiva di dover aspettare, con esito di nuovo incerto, altre “quattro settimane lavorative” per rientrare in possesso dell’indispensabile strumento di lavoro negligentemente riparato e da loro inutilmente lasciato in retrobottega a candire.
Dall’altra parte del filo, con tono tra l’annoiato e il comprensivo, quella flauta: “Sì, ma se ora porta il telefono direttamente alla sede principale, in centro, vedrà che glielo riparano in appena sette giorni. Noi qui facciamo solo da punto di raccolta: ritiriamo gli apparecchi e, quando ne abbiamo messi insieme un certo numero, glieli portiamo“.
E me lo dice ora, dopo avermi fatto aspettare, per nulla poi, da metà dicembre a fine gennaio?
Mentre valuto se insultarla, mandarla a quel paese o cambiare direttamente compagnia telefonica, mi arriva un’email dall’Inghilterra. La invia l’editore di una rivista a cui sono abbonato.
In sintesi il messaggio dice: “Dear Stefano, ci segnalano che a causa delle condizioni atmosferiche avverse potrebbero verificarsi delle difficoltà nel contattarci via telefono o email. Anche la spedizione della rivista potrebbe subire qualche piccolo ritardo. Ci scusiamo per l’inconveniente e faremo il possibile per risolvere il problema al più presto“.
Mi guardo intorno, smarrito.
Viva la perfida Albione.