Trentasei anni dopo, esce il libro con la vera storia dell’intervista che nel ’74 Lucio rilasciò a Renato Marengo (allora produttore/giornalista, oggi conduttore di “Demo”). Era la vigilia dell’uscita di “Anima Latina”. Quella settimana si parlò solo di musica.
Ce l’ho. Ce l’ho certamente anch’io, sepolto (ma non più di tanto) negli archivi cartacei della mia adolescenza musicale, quel numero “storico” di Ciao 2001 del 1 dicembre 1974 (400mila copie vendute, record mai più eguagliato) con Lucio Battisti in copertina.
Storico oggi, ma non allora. Almeno per me, che all’epoca probabilmente mugugnai trovando in prima pagina non uno dei miei eroi progressive bensì quel cantautore italiano, formalmente “commerciale” e un po’ melenso. Uno verso il quale ogni rocker degno di questo nome (e poi a quell’epoca si presumeva tutto dovesse essere intriso di “impegno”, anche se quasi nessuno aveva capito che cosa volesse dire davvero) aveva l’obbligo morale di mostrare sussiego. Sebbene, come accadeva a me, alla fine fosse difficile restare insensibili alle melodie, alle tessiture sonore e a un impatto emotivo che – sì, in cuor nostro lo ammettevamo – in Battisti non era lo stesso delle normali canzonette. E detto da qualcuno per cui, allora, quasi tutto era “canzonette”, non è poco.
Lì per lì quel numero della più diffusa e amata rivista musicale italiana degli anni ’70 non mi apparve storico, dunque.
Per due motivi. Anzi, tre. Il primo è che non seguivo affatto le vicende discografiche battistiane, verso le quali ero ufficialmente disinteressato (oltre che anagraficamente in ritardo). Il secondo è che, come detto, pur subendone l’indiscutibile fascino, non avevo del tutto intuito lo spessore dell’artista. Il terzo, il più ovvio ed anche il principale, però, è che nessuno poteva sapere che quella sarebbe stata l’ultima grande intervista concessa dal musicista, dopo un autoisolamento mediatico durato cinque anni e protrattosi, in seguito, per quasi un altro quarto di secolo, fino alla morte del musicista avvenuta nel 1998.
Ritrovarmi oggi faccia a faccia con quel titolo (Lucio Battisti: intervista esclusiva – anteprima lp), quella testata, quella grafica, quella foto (e il prezzo: 300 lire, sigh!) è stato un tuffo al cuore.
Ma ancora di più lo è stato addentrarmi nella lettura del libro che l’autore dello scoop, Renato Marengo, all’epoca (e senza imbarazzi, cosa a dir poco strana) produttore discografico e al tempo stesso critico musicale, dedica oggi alla “storia” di quell’intervista rimasta degli annali della musica italiana. Un libro in cui Marengo racconta il prima, il durante e il dopo di una settimana trascorsa gomito a gomito con Battisti nell’autunno del 1974, dapprima per caso, poi in un rapporto di crescente collaborazione e di complicità sempre più stretta, fino a sfociare in amicizia. Ciò che consentì al musicista (rinchiuso nello studio di registrazione del “Mulino”, in Brianza, a riascoltare i nastri del suo nono album, uscito nel dicembre di quell’anno, “Anima Latina”) di “confessarsi” con Marengo e poi di autorizzarlo, tra la sorpresa generale e il sollucchero dei fan, alla pubblicazione della loro conversazione.
“La vera storia dell’intervista esclusiva” (Coniglio Editore, 14,50 euro, con un saggio di Gianfranco Salvatore) è infatti una cronistoria. Un romanzo a episodi. Una sorta di diario. Un album di flash mnemonici e di immagini. Ma inframmezzato di interviste (da Toni Esposito, di cui Marengo doveva produrre il secondo album, motivo per il quale si trovava al Mulino, a Alberto Radius, da Claudio Bonivento a Claudio Pascoli), di riflessioni, di considerazioni sulla musica del periodo e anche di come chi c’era considerava quella musica, i preconcetti, le categorie, “pop” contro “canzonette”, “cantautori” contro “cantanti”, impegno contro disimpegno. Tutti schemi di cui l’autore stesso era per sua ammissione imbevuto e che pian piano si disciolsero al cospetto di Lucio, musicista guardato all’inizio con sospetto perché pregiudizialmente “leggero”, nonché forse perfino (orrore!) “destrorso”.
Eppure, alla fine, il feeling reciproco prevalse. Prevalse anzi, ancora di più, il feeling di Lucio verso Renato, che Battisti all’inizio conobbe convinto che fosse solo un produttore, un addetto ai lavori, quasi un “collega”. Soltanto dopo, quando il ghiaccio era stato rotto e la sua fiducia ormai conquistata, egli seppe che Marengo era anche un giornalista. Senza che però ciò facesse minimamente dissipare in lui la stima maturata in quei cinque giorni di full immersion.
E’ davvero difficile giudicare il volume, oggi che tanti anni sono passati non solo dall’intervista, ma ormai anche dalla scomparsa di Battisti. Difficile capire cosa rimanga della passione che traspare dalle righe del volume e della luce che filtra dalle pagine, senza farsi prendere dal dubbio se non sia l’amarcord a guidarci. E se non sia passato davvero troppo tempo perché quei fatti mantengano vivido il loro significato. Tanta gente non c’è più (compreso il leggendario direttore del “Ciao”, Saverio Rotondi, che per far spazio all’intervista fermò le stampe del settimanale e senza troppi complimenti fece fuori l’articolo portante, dedicato ai Genesis), tanti hanno cambiato mestiere o intrapreso strade diverse. In sostanza: ha un senso rievocare un’epopea pop vissuta trentasei anni fa, senza cadere in una celebrazione un po’ senile? L’interrogativo fa coppia col rischio che del musicista di Poggio Bustone sia stato detto e scritto tutto, forse troppo, senza che quasi nessuno ne abbia saputo tuttavia cogliere la cifra di straordinaria, italianissima, trasversale “via del rock”.
La risposta la dà forse lo stesso Marengo, quanto tenta di spiegare cosa lo ha spinto, una generazione e mezzo dopo, a pubblicare i libro. Una motivazione che è la stessa con la quale Lucio Battisti lo autorizzò a pubblicare la famosa intervista: si parla di musica. Solo di musica.