La notizia ha fatto il giro del mondo: sull’Everest dieci morti in sette giorni per l’ingorgo provocato dal contemporaneo tentativo di ascesa di quasi 200 alpinisti. E’ accettabile? Non per i morti (ognuno può prendersi i rischi che vuole), ma per la montagna e, in generale, per i luoghi di alto valore simbolico.
Sembra che nell’ultima settimana, sull’Everest, siano morti dieci scalatori. Non per una tempesta di neve, o per una valanga, o la caduta in un crepaccio, ma perchè fiaccati dalla mancanza di ossigeno, la scarsa preparazione o lo sfinimento dovuto a ore di attesa nella salita o nella discesa. Erano infatti in “coda” con altri 190 alpinisti. Avete letto bene due volte: erano in coda e con altri 190 (uno-nove-zero) compari. Come in una qualunque tangenziale metropolitana, o in città nell’ora di punta, o la domenica sera nei weekend estivi, o allo sportello delle raccomandate alle poste.
Ditemi voi se tutto questo (cioè l’ingorgo a quota 8mila e oltre, non i morti), è accettabile.
Stop: sento già che qualcuno rompe le palle coi morti. E allora dico subito che se uno va sull’Everest, di lasciarci le penne deve metterlo in conto. Soprattutto se ci va da turista, da dilettante insomma, perchè non saprei come altrimenti definire i partecipanti a una “gita” così numerosa da prevedere centinaia di persone in coda. Una coda oltretutto salata, visto che il permesso concesso dalle autorità nepalesi costa la pinzillacchera di 11mila dollari.
No, davvero, ditemi se tutto questo è accettabile.
Se cioè uno dei luoghi naturali più estremi, impegnativi, pericolosi ma anche delicati, anzi fragili del mondo possa venire assaltato da un turismo a suo modo “di massa” (non a caso le vette himalayane paiono diventate un’enorme pattumiera, visto che le centinaia di spedizioni ospitate ogni anno lasciano in loco tonnellate di rifiuti).
Ecco: secondo me, no. Non è accettabile.
Non è accettabile, nè concepibile, che la tracotanza umana, sostenuta da un robusto conto in banca, giustifichi deliri di onnipotenza alpinistica. Non è accettabile che luoghi in qualche modo sacri per ragioni naturalistiche, o culturali, possano diventare oggetto di un assalto tale da compromettere non solo l’integrità dei luoghi stessi, ma la sicurezza dei visitatori. Sarebbe come se a Venezia ogni turista si portasse via un mattone e nel giro di un paio d’anni le case cominciassero a perdere pezzi che precipitano sulla testa della gente, uccidendola.
Se è vero che ogni anno il governo nepalese rilascia oltre 800 permessi di ascesa sull’Everest, significa che incassa circa 10 milioni di dollari. Mettiamo pure che essi generino, tra portatori, servizi, eccetera, un indotto di altri 20 milioni: fanno 30 milioni, che per carità sono tanti, ma mica una cifra astronomica e tale da giustificare il massacro della vetta più alta del pianeta.
Insomma a me questa storia dell’Everest col semaforo pare un segno dei tempi e un monito da non sottovalutare affatto. Il segnale che forse si è superata la soglia. Forse siamo ancora in tempo a tornare indietro, ma ho l’impressione che manchi poco.