LETTURE NATALIZIE CONSIGLIATE: “Quei lontani sogni cattivi“, di Faustino Giannoni, Sarnus Editore.

 

Reincontri un amico, che nel frattempo è diventato un collega, dopo quasi quarant’anni. E lui ti racconta che, dopo quasi cent’anni invece, da un baule sono saltate fuori le memorie, grammaticalmente deboli ma chiare per grafia e intense per contenuto, del mai conosciuto nonno Faustino, prigioniero degli austriaci durante la Grande Guerra. Memorie che il nipote ha prima ripubblicato per i parenti e poi, con un lavoro più accurato di editing, per il lettore. Tanto da farne un bel libro (112 pagine, 13 euro), con l’introduzione di Riccardo Nencini.

E’ miope assai liquidare certe operazioni come nostalgia, perchè non lo sono, o darne un’interpretazione solo emotiva. E neanche ridurre la diaristica a un genere peristorico, perchè le implicazioni culturali di un diario come quello del signor, anzi del caporale Faustino sono molte e ulteriori. Memorie che vengono dal secolo breve a noi molto vicino, ad esempio, sia cronologicamente che storicamente. Memorie, anche, che non sono solo quelle pur toccanti di un prigioniero in un campo di prigionia, ma l’involontario diario di viaggio di qualcuno che, sebbene deportato, ha avuto modo di viaggiare e di conoscere, per le vicende drammatiche che lo hanno coinvolto, stili di vita, umanità, città, contesti, usi lontani mille miglia dal suo e dal nostro di allora, e che ora ci descrive ciò che ha visto con i suoi occhi. Accanto ai ricordi amari della fame, dei lutti e degli strazi (che l’autore sintetizza con l’efficace espressione di “sogni cattivi“) emergono allora, tra i capitoli, i contatti sorprendenti con culture sconosciute come quella musulmana, tra minareti e moschee, episodi folgoranti come le passeggiate in libertà per Budapest concesse dai carcerieri stessi (!) nell’attesa che il treno ripartisse, o gli atti di ostilità e di solidarietà che si mescolano, o ancora il senso di patria e di famiglia che sopravvivono alle vicende, nonostante tutto. A pagina 59 vieni sbalordito dalla foto ricordo – tutti in posa, pettinati, divise in ordine – scattata al Giannoni in Boemia, cioè durante la stessa prigionia ove i prigionieri si potevano scannare per un pezzo di pane, assieme a tre commilitoni. Chi può immaginare non solo quattro deportati di guerra a cui viene concesso di farsi un ritratto fotografico, ma il fatto stesso che in quelle circostanze ce ne sia la possibilità? Eppure il Giannoni ce ne dà testimonianza.

La verità di una guerra immaginata muta di nuovo quando, leggendo, si scopre che fu offerta loro perfino la possibilità di lavorare, pagati!, in una fattoria come contadini.

Prigionia “quasi” dorata, come la definisce il nipote Francesco nelle sue note?

In paragone ad altre, forse sì. Potremmo forse dire, meglio, “fortunata“. Sebbene condita di mutilazioni chirurgiche subite da sveglio, senso di morte perennemente incombente, atti di viltà, di disprezzo, di odio. C’era la guerra, del resto. E il racconto della fine, l’incredulità e il giubilo, le vendette di taluni che fecero “una ventina di morti” tra i carcerieri, l’interminabile viaggio di ritorno, la felicità della famiglia e lo stupore per un’Italia vincitrice ma depressa e divisa.

Il diario del signor Faustino, insomma, si presta a molte letture. E ispira, inutile negarlo, un vago senso di malinconia. Oltre che di necessario realismo.