L’idea, “very american”, del reverendo Terry Jones di bruciare, in occasione dell’anniversario dell’attentato alle torri gemelle, il libro sacro ai musulmani per protestare contro la costruenda moschea sul sito di Ground Zero è il sintomo della pericolosa escalation demagogica di una questione che dovrebbe essere invece affidata, per le sue complesse implicazioni, alla politica e alla diplomazia. Mentre il rogo potrebbe trasformarsi in un boomerang pericoloso per tutti, parte offesa inclusa.
Non credo che – aldilà delle questioni sulle ragioni e sui torti, che non sono in discussione in questa sede – ci voglia molto per rendersi conto di quanto sciocco e pericoloso possa essere l’ulteriore salto di qualità dello scontro religioso e culturale che verrebbe innescato se, come ha più volte annunciato, poi ritirato, poi “sospeso”, il pastore protestante della Florida Terry Jones desse davvero alle fiamme, domani 11 settembre (anniversario dell’attentato alle Twin Towers di New York del 2001), una copia del Corano.
Capisco bene le (un po’ patetiche) esigenze di visibilità del religioso, evidentemente bisognoso di ampliare il novero dei propri adepti, vendere più copie dei suoi già vendutissimi libri e compattare un vasto seguito che, da parte sua, forse non chiede altro di essere ricompattato attorno a un malinteso senso di identità patriottico-confessionale. In politica e nei suoi annessi e connessi (affari compresi), tutto fa brodo. Quello che invece è incredibile è che l’idea possa avere avuto un’eco e non sia stata sommersa dalle pernacchie dalla stampa mondiale. Bastava sbeffeggiare, anziché prenderla sul serio e rilanciarla, questa sgangherata provocazione del reverendo, per provocarne l’aborto sul nascere. Invece è andata al contrario: titoli di apertura in tutto il mondo e ora un inseguirsi di appelli, da Obama a Donald Trump, dall’ayatollah Al Sistani al presidente afgano Kharzaj, con l’effetto di un’ormai inarrestabile moltiplicazione mediatica.
Trovo assolutamente legittimi, sia chiaro, i sentimenti di chi è contrario (così come quelli che, per ragioni opposte, sono favorevoli) alla costruzione di una moschea a Ground Zero. Per molti americani, i musulmani sono nemici a prescindere, o almeno vengono percepiti come tali da vaste fette dell’opinione pubblica, quindi nulla da eccepire all’ostilità verso un insediamento dal valore simbolico indubbiamente elevatissimo e che, va da sé, a parti invertite non potrebbe godere di alcun, nemmeno teorico, diritto alla reciprocità.
Legittimo sarebbe, dunque, anche se il governo statunitense decidesse di tagliare la testa al toro e proibisse tout court l’erezione del tempio. Forbidden e tutti a casa.
Ma solo pensare di “contrattaccare” all’iniziativa dei musulmani americani inscenando pire di piazza e buttando così benzina sul fuoco dell’isterismo di massa che già avvolge metà pianeta, mi pare assolutamente inconcepibile. Anche per qualche dollaro di royalties librarie in più.
A meno che tutto non accada a bello studio, di proposito, telecomandato da un inafferrabile grande vecchio nella consapevolezza, ben pianificata, di ciò che così facendo si ottiene e soprattutto si vuole ottenere.
Allora giù la maschera, però.