Comincia domani il 1° “Crete Senesi Rock Festival“, rassegna di musica d’autore romanticamente e gratuitamente organizzata da me e da un paio di amici. Dopo quasi quarant’anni trascorsi a comprare dischi, criticarli, trasmetterli alla radio e ad andare ai concerti, passare per una volta dall’altra parte della barricata era – ci siamo detti – un atto dovuto. Ora, che gran parte dei giochi è fatta e non resta che sperare che la gente venga a vedere i musicisti che più amiamo, è il momento di tirare le prime somme. E i conti, almeno sul piano emotivo, sono per fortuna in nero…
Mettersi un po’ in gioco è bello. Soprattutto andando ad esplorare territori che si conoscono bene, ma solo dal di fuori. E’ come passare dalla teoria alla pratica, dalle evoluzioni con la rete a quelle senza.
E la nostra – organizzare da zero, senza nessuna esperienza, un festival rock in una zona rurale famosa per i suoi paesaggi e non certo per la sua “anima” musicale – è decisamente “senza”.
Non a caso, delle otto persone interpellate, sebbene scelte una per una in una ristretta e selezionatissima cerchia di appassionati, cinque si sono tirate indietro. E così siamo rimasti in tre, come i somari e i giganti di Franco, Ciccio e Domenico Modugno sulla strada per Girgenti.
Come andrà a finire dal punto di vista finanziario ancora non lo so. Mi accontenterei di non rimetterci troppo. “Chi organizza concerti non sa mai in anticipo se ci guadagna o no”, mi avvertiva tempo fa un conoscente più scafato di me in materia. “Sì – gli ho risposto – ma io non lo faccio di mestiere”.
Appunto: forse è proprio questo il bello. Senza l’ansia di dover dimostrare una professionalità che non c’è, sospinti più dal desiderio di fare bella figura con la gente, con i musicisti e con noi stessi, tutto ha proceduto con l’allegro ed energizzante spontaneismo che connota le cose “sane”: entusiasmo, ore piccole, nessuna economia di tempo e di fatica, concentrazione assoluta sulla qualità. Anche troppa. E con l’occhio doppiamente quanto oppostamente severo del critico e del fan. Una dimensione a cui, chiuso da anni nella mia sfera di vetro da giornalista, fin troppo attento a dettagli, verifiche incrociate, terzietà, imparzialità, distacco professionale, non ero più abituato.
Rituffarmi invece nel mondo della musica vera, quella cioè che la gente suona per denaro ma che suonerebbe comunque anche senza, nel limbo di chi è un ingranaggio minuscolo della grande industria e pertanto è condannato a farne parte senza tuttavia poter minimamente interferire sulla rotta del vapore, nella terra di nessuno di che è professionista mentre esegue ma appassionato mentre fa, è stato, devo ammetterlo, un toccasana.
Senza spendermi in inutili iperboli, non ho difficoltà a riconoscere di aver riassaporato atmosfere che avevo dimenticato da molti lustri. Le atmosfere del suonare a prescindere, del prestare senza chiedere nulla in cambio, dell’elasticità su scelte e posizioni, della disponibilità verso spigoli caratteriali, debolezze individuali, limiti culturali. Tutto un armamentario che caratterialmente e professionalmente mi appartiene poco e che invece, con compiacimento, ho riscoperto non solo esistere, ma pure avere un senso.
In una parola: artigianalità. Quella miscela insomma di capacità e passione. Di questo c’è bisogno per organizzare un festival rock come il nostro, lasciato volutamente in bilico tra il goliardico e lo snob, tra l’iniziatico e il popolare. Messo in piedi senza bisogno di rituffarsi in vecchi dischi mandati da sempre a memoria, ma sentendoseli tornare su come un retrogusto, come l’odore di casa propria, in una strana forma di autocitazione che mette insieme pezzi di vissuto tuo e di vita degli altri.
Per questo il bilancio esistenziale di questa fase organizzativa è e resterà in nero. Per il resto vedremo. Ma nessuno potrà mai toglierci dalla testa, per un attimo, l’illusione di essere in “Quasi Famosi”.
“She gets rock n roll, from the rock n roll station
In a rock n roll dream
She’s making movies on location
She don’t know what it means
And the music make her wanna be the story
And the story was whatever was the song – what it was
Rollergirl – don’t worry
DJ play the movies – all night long”
Dire Straits, “Skateaway”, 1980
(NB: nel 1980 uscirono il primo album di Willie Nile e “Thug of Love” di Dirk Hamilton. E il festival celebra un po’ anche questo trentennale).