Il giornalismo tradizionale può sopravvivere alla rete? Sì, se il lettore capisce che ciò che trova gratis in rete è in realtà pagato dalla pubblicità, quindi non è gratis. Ma non c’entra nulla la democrazia: l’indipendenza ha un prezzo. Edwy Plenel dixit.

Non ha bisogno di molti commenti l’intervista di Alessio Schiesari all’ex direttore di Le Mond, Edwy Plenel, pubblicata giorni fa sul Fatto Quotidiano. La visione di Plenel è di una pacatezza e di una lucidità assolute.
Leggetevela qui.
Riporto solo una frase che, secondo me, condensa tutto: “Il problema non è la carta in sé. La tecnologia è neutra, ma modifica il contesto. C’è chi ha creduto alla gratuità dell’informazione, ma quella gratuità è un’invenzione perché è pagata dalla pubblicità. Quel tipo di informazione non c’entra nulla con la democrazia e, anzi, è la distruzione del giornalismo. La gratuità vera è, per un abbonato, poter regalare un articolo a un amico. L’indipendenza ha prezzo: la sfida è far capire ai lettori perché lo stanno pagando“.
Dedico quanto sopra a tutti quelli che non credono che la qualità (dell’informazione e non solo della scrittura) non faccia la differenza, a quelli che non credono che la differenza la faccia anche e a volte quasi unicamente il compenso in quanto presupposto di autonomia. E, quindi, a quelli che pensano al giornalismo solo come a una “passione” e non anche come a un lavoro remunerato di cui campare. O a cui rinunciare, dedicandosi ad altro.
La deprofessionalizzazione del giornalismo corrisponde alla deprofessionalizzazione dell’informazione e quindi dei media, che diventano contenitori di contenuti regalati o pagati da chi ha interesse che stiano lì.