di URANO CUPISTI
Seconda puntata del viaggio in (quasi) solitaria del 2003, con lo sky-safari fino al confine angolano, le saline, gli Himba, i relitti delle navi arenate nell’oceano, le Epupa Falls e un bivacco insonne.

 

In origine il mio programma prevedeva di raggiungere Springbokwasser, alloggiare nel camping e poi proseguire verso l’Etosha Park. Non fu così.

Perché, come spesso accade nei viaggi in solitaria, conosci persone che raccontano le loro esperienze, ti danno consigli e di conseguenza ti ritrovi di buon mattino all’aeroporto di Swakopmund, pronto ad imbarcarmi su di un Cessna a 6 posti (Cessna 206) per un fly-Safari nella Scheleton Coast e dintorni.

Tour di tre giorni comprendenti anche tratti in fuoristrada e pernottamenti in tenda, organizzato il tutto da Maximilian, un giovanottone alto, biondo, teutonico, proprietario del lodge che mi ospitò a Swakopmund.

Al momento della partenza mancavano tre persone. Maximilian si lasciò sfuggire un “die üblichen Italiener” (i soliti italiani).

Chiesi: “Come si chiamano?

Lui: “Rossi. Hanno un bambino un po’ impiccione“.

Maledizione, pensai tra me e me.

Ed eccoli arrivare: erano proprio loro.

Il mostro non perse tempo a manifestarsi: “Scusi signor Maximilian, quante ore di volo ha questo Cessna? Ho volato con un 207 nel Grand Canyon“.

Il giovanottone glissò, invitandoci a salire velocemente visto il ritardo.

Il volo fu relativamente breve. Atterrammo nei pressi di Cape Cross. Più di centomila otarie ci aspettavano. E lo si capì dall’odore tremendo e acredel guano, che subito ci investì scendendo dal Cessna sebbene fossimo lontani dalla costa. Ci avevano avvisati di portare un foulard per coprire naso e bocca attenuare l’impatto dei miasmi e avevano ragione.

Con una 4×4 a sette posti raggiungemmo il parcheggio del promontorio di Cape Cross e prima di scendere verso la spiaggia ci fermammo, per la foto di rito, sotto la croce di pietra eretta nel 1485 dal navigatore portoghese Diego Cão in onore del Re del Portogallo.

L’inesorabile bimbo non si fece sfuggire l’occasione: “È una copia. L’originale, trafugata durante l’occupazione tedesca, si trova in Germania“.

Giusto“, rispose Maximilian

Cape Cross è l’habitat ideale per una colonia delle otarie e questa era considerata la più popolosa al mondo. Uno spettacolo indescrivibile, un lembo di mondo primordiale, con base musicale mista tra lamenti, pianti e ruggiti. Osai: “Ho visto uno spettacolo simile nella Penisola Valdés, in Argentina“.

Ci sono stato anch’io l’anno scorso, ma lì il numero delle otarie è minore. Maggioritaria è invece la presenza dei leoni marini“, fu la puntuale la precisazione del bambino.

Lasciammo Cape Cross, sempre con la 4×4, dirigendoci a Nord. Avevamo l’appuntamento all’estuario del fiume Huab con gli indigeni di una tribù di boscimani che avrebbero allestito per noi un piccolo camping dotato dell’essenziale e una cena da consumare intorno al fuoco, nel silenzio del nulla. E così fu.

Per arrivare fino al fiume Huab percorremmo la mitica C34, la strada lastricata di sale, liscia, sdrucciolevole e pertanto pericolosa. Con l’umidità marina è come guidare da noi in inverno sulle strade ghiacciate. Un tracciato in un paesaggio monotono, tutto uguale, con a destra l’infinito giallo-grigio a perdita d’occhio e a sinistra la striscia di azzurro dell’Oceano.

Fu una notte insonne quella trascorsa nel camping, per il timore dato dalla presenza di predatori notturni che ogni tanto facevano capire di essere inagguato. Eravamo pur sempre in Africa, anche se i boscimani, mantenendo i fuochi accesi intorno al campo, vegliavano armati per noi.

Al mattino molto presto il ritorno a Cape Cross per riprendere il Cessna. Facemmo una deviazione raggiungendo un luogo strano e spettrale: una salina.

Maximilian raccontò che in un tempo remoto era un’oasi, attraversata da un fiume, con diversi alberi di grandi dimensioni. Del fiume era rimasta solo qualche traccia , qua e là i resti di alberi anneriti dal tempo, resi sinistri dalla salsedine. Al posto dell’oasi, un lugubre edificio con annesso impianto estrattivo.

Riprendemmo a volare sorvolando, a bassa quota, la lunga spiaggia della Skeleton Coast con disseminati i relitti dei navigli rimasti arenati a causa dei forti marosi atlantici e dell’indomabile effetto del movimento della sabbia marina. Nell’osservare i relitti chiesi lumi al sapientino.

Lo sai perché queste imbarcazioni si sono incagliate e arenate?“.

E lui: “Certo. Tutto è dovuto dall’azione combinata dei venti e del mare. I venti che spingono la sabbia verso il largo, le correnti che rendono mutevoli i fondali marini non rilevabili dalle carte nautiche e i forti marosi che impediscono di governare le navi. Da questo cocktail i naufragi“.

Tacqui: me l’ero cercata.

Con volo radente arrivammo quasi al confine con l’Angola. Sotto di noi Ugabmund, dove ha termine la strada di sale, il remoto campeggio di Torra Bay, famoso per la pesca sportiva, il villaggio di pescatori (veri) di Wlotzkasbaken, coi colori vivaci delle case che contrastano con la monocromia del paesaggio, Terrace Bay, Mowe Bay dove finisce la C34, Henties Bay, ultimo avamposto namibiano e la parte della Skeleton Coast inaccessibile via terra. Infine l’avvistamento della foce del Kunene River, il confine tra Namibia e Angola.

Drastica virata a destra, verso l’interno.

Qui i Mig dell’aviazione militare angolana arrivano subito“, ci avvertì Maximilian.

Costeggiammo il fiume Kunene alla dovuta distanza fino ad arrivare alle Cascate Epupa e prendemmo alloggio all’Epupa Falls Lodge&Composite, un resort dal comfort inimmaginabile da quelle parti. Depositati gli zaini, subito a visitare tutto quanto c’era da visitare.

Il fiume precipita in una serie di cascate alte fino a 60 metri, circondate da un ambiente fantastico e incorniciate con pareti di roccia color ocra in netto contrasto con l’acqua color turchese. Tutt’intorno maestosi baobab, fichi selvatici e palme.

Ci venne detto che era possibile tuffarci nelle innumerevoli pozze, ma facendo attenzione ai numerosi coccodrilli presenti e “molto affamati”. Preferimmo rinfrescarci nella piscina del resort.

Epupa significa acque che cadono” nella lingua degli Himba, la popolazione “senza frontiera” tra Angola e Namibia. In questa zona si registrano 240 specie di uccelli tra cui martin pescatori, aquile urlatrici, tessitori e aironi.

Facemmo una passeggiata sul bordo delle cascate, osservando le donne intente a lavare i panni mentre i ragazzini facevano il bagno nelle acque del fiume invitandoci a tuffarci con loro. “Crocodile“, urlai indicando il marchio della mia Lacoste. E loro a ridere. Forse conoscevano gli orari di pranzo e cena dei coccodrilli. Maximilian ci fece notare i cespugli di euforbia, una pianta che ha al suo interno una sostanza velenosa utilizzata dagli Himba per la caccia.

Trascorremmo la serata raccontandoci ricordi con il sottofondo musicale del “suono” delle cascate.

E fu lì che il sapientino incominciò a piacermi.

 

(continua).