Quanto l’origine vulcanica dei suoli può dare un comune imprinting al vino? C’è correlazione tra vitigni, clima e “fattore vulcanico”? E l’origine “eruttiva” può essere utilizzata come leva per un marketing unificante? Se n’è parlato (e bevuto) a Soave.
Tutte le idee di marketing sono buone se, alla resa dei conti, funzionano. E a funzionare meglio sono quelle che si fanno ricordare a lungo, perchè sono in grado di offrire una conoscenza o un’esperienza che vanno al di là dell’iniziativa occasionale.
E’ per questo che devo doppie scuse (per il ritardo di questo resoconto e perchè ho omesso di complimentarmi di persona) agli organizzatori di Vulcania, l’evento che il Consorzio di tutela del Soave organizza ormai da quattro anni per promuovere il proprio vino, facendo appunto leva sulla natura vulcanica dei suoli e sul confronto critico e dialettico: tra i vini prodotti nel mondo su suoli consimili, le suggestioni che essi sanno evocare e anche, perchè no, la loro capacità di creare un’eco commerciale durevole e trasversale.
Sono strumento dell’iniziativa, ambientata nel Borgo Rocca Sveva, un talk show, chiamato quest’anno “Riflessioni ad alta voce con la stampa“, che serve a scaldare la sala e a entrare in argomento, la neonata Associazione delle Doc Vulcaniche, l’organismo presentato all’ultimo Vinitaly e destinato alla promozione dei vini da suoli “eruttivi” e ovviamente una degustazione dimostrativa finale. Interessantissima quest’ultima non tanto e non solo per il suo scopo dichiarato, cioè cogliere e sottolineare le eventuali analogie tra i vini “magmatici” (nonchè, talvolta, enigmatici) selezionati per il panel, ma soprattutto per offrire all’assaggiatore un ventaglio di bicchieri assolutamente inusuali, con cose strane, rarissime, originali, bizzarre. Delle quali, insomma, ti ricorderai. Che in fondo è esattamente quello che gli organizzatori desiderano.
Il tutto con il giusto inquadramento tecnico-scientifico (l’introduzione è stata affidata a un’autorità come il professor Attilio Scienza), ma senza mai perdere di vista il versante ludico e la vocazione intrinsecamente divulgativa dell’evento.
E così, dopo una giornata di up and down lungo le scure pendici dei vigneti a sorseggiare bianchi locali e a piluccare ciliegie, il vostro cronista si è trovato prima al cospetto del collega Antonio Paolini, impegnato a cucire tra loro gli interventi di Monica Larner (Wine Enthusiast), Veronika Crecelius (Weinwirthschaft) e Richard Baudains (Decanter) sul potere di fascinazione comunicativa della “vulcanicità” del vino (unica pecca, un abnorme utilizzo della parola “mineralità”: basta, non se ne può più) e poi davanti a ben 18 campioni da assaggiare.
Divisi in quattro batterie: le vigne di Soave (due Soave Doc Classico e due Soave Superiore Docg), i vulcani veneti (un Gambellara Doc classico, un Igt veneto bianco “Le Lave”, un Colli Euganei Moscato Igt e un Lessini Durello Doc spumante metodo classico), l’Italia dei vulcani (Bianco di Pitigliano Superiore Doc, Falanghina Doc Campi Flegrei, Ischia Doc Biancolella e Etna Doc bianco) e infine il resto del mondo (Pinot Grigio 2011 del Lago Taupo, Nuova Zelanda; Santorini 2010, Grecia; Chardonnay di Willamette Valley, Oregon, Usa; sparkling wine del monte Fuji, Giappone; un vino di Big Island, Hawaii. Ha chiuso in bellezza il Soave Doc Classico 2006 “Monte Carbonare” di Suavia).
Se dicessi che l’assaggio comparativo non è stato stuzzicante e utile per mettere a fuoco le diverse espressioni “vulcaniche” del territorio di Soave e delle altre zone italiane, sarei un bugiardo.
Ma lo sarei ancora di più se negassi che la sezione dedicata al resto del mondo è stata quella più curiosa. Dominata, va detto, dal Souki 2010 giapponese, uno spumante quasi introvabile ricavato da uve Sinano (un incrocio tra Riesling e Chardonnay) e il Simphony Mele, uno sconcertante bianco ricavato alle Hawaii dalle uve di origine californiana coltivate in un vigneto sperimentale messo a dimora nel 1948 dal ricercatore italiano Olmo Olmi, con l’intento di testare la capacità di resistenza della vite nelle condizioni climatiche più avverse.
Insomma una degustazione memorabile.
“Just under the volcano“, avrebbe detto John Houston…