A quelli della mia generazione l’aveva già insegnato negli anni ’60 Jacques Cousteau, coi suoi famosi documentari “L’uomo e il mare“: per distrarre uno squalo dalla preda, basta fargli vedere un altro squalo morto o agonizzante, che il predatore si getterà a divorare lasciando perdere tutto il resto.
Attorno a Marchionne, squalo moribondo che fa rabbia in quanto squalo e compassione in quanto moribondo, pinneggiano infatti eccitati molti altri squali, in attesa del poco fiero pasto.
Quelli di Fca, che in nome degli affari e della borsa l’hanno sepolto e celebrato ancora vivo. Il governatore toscano Rossi, che in nome del voto e dell’ideologia maramaldeggia attribuendo all’uomo responsabilità morali legate casomai alla sua funzione. Quelli del Manifesto, che al solito fanno titoli geniali ma strabici. Gli squaletti del buonismo, che personalizzano e interiorizzano i drammi altrui. I pesci pilota del comunismo a parole, che vaniloquentemente lo additano come il male assoluto. Il tutto nel grande acquario di un sistema che, nemmeno fosse scomparso Alessandro Magno o Napoleone, da giorni alimenta una sconcertante agiografizzazione o demonizzazione mediatica di cui, per dimensioni, portata e tam tam, non ricordo precedenti in mezzo secolo di storia.
Nel mentre, tutto si riassetta: la Fca riordina la catena di comando, Rossi riprende fiato propagandistico, i moralisti si sfogano, i sinistrorsi alimentano l’odio sociale, i giornalisti scrivono banalità sotto dettatura.
Alla fine, forse, l’unico che dall’Aldilà già se la ride o se la riderà sarà Sergio Marchionne.
E così Fiat, appunto.