Chi si ricorda dell'”osteria numero venti”, quella che “…se avesse i denti”? Ecco, a credere alla boutade messa in circolazione oggi da un’azienda vinicola piemontese, proprio tra i suoi filari sarebbe stata scoperta una rosa carnivora. Della serie “quante vigne in tribunale, quanti nasi all’ospedale”. Eppure qualcuno ci ha creduto.

E’ proprio vero che i confini del marketing sono infiniti, almeno quanto le idee dei creativi della comunicazione. E anche se poi, alla fine, i trucchi sono sempre gli stessi, la genialità consiste non tanto nell’escogitare cose nuove, ma nel trovare modi nuovi per riciclare i vecchi.
Uno dei più classici è il falso d’autore: s’inventa una bufala, la si camuffa da credibile e la si dà in pasto all’opinione pubblica, sfruttando la tempistica immediata resa oggi possibile dal web e dai social.
Insomma, per farla breve, mi arriva un comunicato stampa con una notizia a dir poco bizzarra: nel vigneto di una nota fattoria piemontese, la Pico Maccario di Mombaruzzo (AT), sarebbe stata individuata una nuova varietà di rosa. Finora ignota ai botanici. E molto, molto diversa dalle altre: la rosa infatti sarebbe carnivora.
Non solo. Non si tratterebbe infatti di un tipo nano, o selvatico, o di quelli che crescono nascosti da qualche parte. Al contrario, la rosa ghiotta di insetti sarebbe proprio quella, comunissima, che da secoli i vignaioli astigiani piantano in testa e in coda ai filari come “spia” contro le malattie. Se il sensibile fiore si ammala, è il segnale che qualche malattia si aggira e il suo effetto può così essere prevenuto o almeno attenuato prima che raggiunga le viti.
Il caso, continuava il comunicato, avrebbe sollevato un tale clamore nella comunità scientifica internazionale da indurre una troupe australiana a spingersi fino lì per filmare la scena della rosa che acchiappa la mosca (il filmato è naturalmente linkato al comunicato stampa), con relativo video che spopola su youtube (qui).
La scoperta sarebbe stata ispirata dal fatto che i proprietari da anni osservavano il progressivo diradarsi degli insetti in vigna, il che li avrebbe spinti a cercare le cause della falcidia e alla scoperta della rosa-bongustaia (si fa per dire).
Che il tutto puzzasse di burla lontano un miglio era chiaro.
E bastava poi buttare un occhio sul logo aziendale (che raffigura? Tenetevi forte: una rosa!) per rafforzare la convinzione che si trattava di un pesce d’aprile molto tardivo o molto anticipato.
Solare per me e, ho scoperto, anche per qualche altro collega. Ma non per tutti.
Vado su Google, digito “rosa carnivora” ed ecco una sfilza di siti, blog, portali, testate on line riportare con grande evidenza la “clamorosa” scoperta. Molti con ironia, qualcuno anche dandogli credito.
Nel quartier generale dell’azienda vinicola e dell’agenzia che cura per loro le pubbliche relazioni si brinda giustamente al successo dell’iniziativa mediatica e, altrettanto ovviamente, si confessa subito che si è trattato di uno scherzo.
In certe redazioni, invece, si dà il via alla serie “il controllo delle notizie, questo sconosciuto” e “evviva San Luccio“!