Sarà perchè il mercato richiede vini riconoscibili, sarà per la diversa sensibilità commerciale dei nuovi padroni americani, ma la Ruffino ha lanciato da pochi giorni il suo Chianti Superiore Docg nel tradizionale contenitore campagnolo. Vent’anni dopo l’ultima bottiglia impagliata. Tra molti interrogativi e qualche messaggio subliminale.

Diciamoci la verità: sotto certi aspetti è una bella rivincita.
Deriso, sbeffeggiato, ingratamente umiliato – nel periodo del suo tramonto – dall’insulsa finta impagliatura di vera plastica, il vecchio, caro fiasco, per decenni ambasciatore dell’italianità nel mondo, il principe delle osterie, il contenitore per antonomasia di tanti vini che, un po’ per colpa loro e un po’ per colpa sua, divennero per il consumatore dei “vinelli” e hanno dovuto sputare sangue per riguadagnare la considerazione dei gourmet nell’epoca delle bottiglie pesanti vestite come un’essenza di profumo o un cognac, si riaffaccia alla ribalta.
Lo fa in modo riveduto e corretto, va da sè, appoggiandosi su fior di studi di marketing, indagini di mercato e il ritocco del designer, smagrito e asciugato come una diva formosa sotto le abili mani di photoshop. Ma lo fa ed è di nuovo tra noi.
E’ di questi giorni infatti il lancio, sul mercato del vino, del fiasco di Chianti Superiore docg di Ruffino, storico marchio toscano passato giusto un anno fa nelle mani americane della Constellation Brands.
Pura internazionalità, insomma. E anche questo vorrà dire qualcosa.
Sia chiaro, non ho ancora assaggiato il rosso in questione, quindi parlo solo dell’operazione commerciale. Che tuttavia, per i suoi significati, merita anch’essa una qualche attenzione.
Perchè il rilancio del fiasco e del messaggio che esso intende evocare non è un evento secondario, bensì un’operazione precisa: accessibilità del vino, richiamo alle tradizioni e alla semplicità, identità territoriale, rinobilitazione di un contenitore che, come certi abiti vintage, torna alle origini e acquista fascino e appeal.
La trovata è calibrata, pensata, studiata. Il fiasco cambia silhouette, si affina com’erano le fiasche rinascimentali. L’impagliatura – un tempo simbolo di cheap, ora invece vezzosa – è a vita bassa, come una gonna che lascia maliziosamente scoperto l’ombelico, mentre l’etichetta e la capsula giocano sull’eleganza dell’abbinamento blu e oro, quasi a sottintendere che non si tratta di una contadinella, ma di una nobildonna camuffata, per gioco, da popolana e tuttavia incapace di nascondere l’austerità dei propri tratti. “La paglia – fa sapere l’azienda – è oggi carta certificata FSC (ecologica insomma, ndr) proveniente dallo stesso fornitore che da oltre un secolo collabora con Ruffino, esattamente come la vetreria che ha realizzato il nuovo modello in esclusiva. Entrambi si trovano a pochi chilometri dalla storica sede di Ruffino a Pontassieve, vicino a Firenze“. Pura filologia.
E’ il formato, invece, che cambia: non più il classico e ingombrante 1,75 ma 1 litro secco, ciò che rende più maneggevole il tutto senza smussarne la suggestione di convivialità, l’allure da pranzo all’aperto, sull’aia.
Una svolta rustico-elegante, si può dire?
E soprattutto un segno dei tempi.
“Tirato” in 35mila pezzi “test” (che a regime dovrebbero diventare 350mila) e distribuito per metà in Italia e il resto in Germania, Belgio, Finlandia, Svezia e Norvegia il nuovo Chianti Superiore infiascato ha fatto, assicurano, il fumo: già tutto esaurito in Italia e quasi negli altri paesi. Certo, non sono grandi numeri, ma confermano un trend.
A Pontassieve, commentano, ci pensavamo da almeno cinque anni, ma ci siamo andati coi piedi di piombo. Prove su prove e un sacco di problemi tecnici, a cominciare dalla compatibilità con le linee d’imbottigliamento e dal costo elevato del nuovo fiasco. Ne avevano tre prototipi: il nostalgico, più all’antica, il design, con l’impagliatura nera e il contemporaneo, che è stato poi il prescelto.
Prezzi? Tra gli 11 e i 13 euro in enoteca e tra i 16 e i 18 euro a ristorante. “Ma con uno 0,25 di contenuto in più rispetto alla bordolese“, sottolineano.
Già pronto lo slogan, senza dubbio “forte”: “Il futuro appartiene a chi lo ha cominciato“.
Sembra un grido di guerra, anzi di riscossa.
Ora, però, aspettiamo il redivivo fiasco alla prova che più conta, quella del palato.