di CARLO MACCHI
Falanghina dei Campi Flegrei 2010 Contrada Salandra: sottoposto a una prova di sadismo gastronomico, quest’incredibile, vecchio bianco campano si è fatto beffe pure di aglio e olio “novo”.

 

Non so se Giuseppe Fortunato, deus ex machina di Contrada Salandra, sia fortunato, ma sicuramente è una di quelle persone che unisce il machiavelliano dettato di “Virtù e Fortuna”. La sua virtù è stata quella di abbandonare la laurea in ingegneria in un cassetto e farsi portare dalla passione, prima per il miele e poi per la vigna. La sua fortuna è stata quella di “ritrovarsi tra le mani”, assieme a sua moglie Sandra, Contrada Salandra.

“I vini di una terra non sono merci ma racconti di vita”, questo è l’inizio del bellissimo cammeo riportato in retroetichetta (che vi consiglio di leggere in toto) e la Falanghina dei Campi Flegrei 2010 che ho aperto, regalatami da Giuseppe alcuni mesi fa, racconta la storia di un uomo virtuoso e di un vitigno che nel tempo è cresciuto, e da uva  per vini facili e immediati è divenuta mezzo per misurare quanto possa essere bello e complesso lavorare questo vitigno in un terra particolare, vulcanica, instabile ma di una stabilità storica ineccepibile, come i Campi Flegrei.

Falanghina vino da bersi giovane” era quasi un luogo comune fino a poco tempo fa, ma mentre questo luogo comune nasceva e si fortificava Giuseppe produceva questo incredibile 2010.

L’ho avvicinato con curiosità e rispetto, ma con la sicurezza di aver già degustato diversi ottimi vini di Giuseppe con molti anni sulle spalle.

Il risultato è andato al di là delle previsioni.

Colore dorato brillantissimo, quasi a voler subito mettere le carte in tavola sul fronte della tenuta. La vera sorpresa è stato il naso: come ritrovarsi in montagna e annusare l’aria fresca e pungente, ma piena di aromi balsamici, di erbe e fiori. Una serie di sensazioni che unite a note di pietra focaia presentano chiaramente le possibilità di invecchiamento della Falanghina nei Campi Flegrei.

La bocca ha bisogno di un attimo per aprirsi: non punta certo sulla freschezza ma sull’equilibrio e sulla sapidità e più resta nel bicchiere e più si fortifica, si concentra, si assesta. Lo stava facendo perché sicuramente, di sottecchi, aveva visto che le stavo preparando una prova di quelle terribili, abbinandola a delle bruschette di pane toscano (con tanto aglio…) e con sopra del cavolo nero sbollentato e condito con olio extravergine d’oliva appena franto.

Un piatto che potrebbe distruggere qualsiasi vino, ma la finezza aromatica ha prevalso anche sull’aglio e la paciosa ma decisa profondità e persistenza al palato è andata oltre l’olio nuovo.

Quindi non solo una Falanghina di 12 anni che regge il colpo, ma che è talmente cazzuta che va oltre un abbinamento cibo-vino ammantato di sadismo gastronomico.

Insomma, questa volta fortunato sono stato pure io!

 

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