Non credo che sia solo perchè, in quanto candidato (vedi qui), seguo con maggiore attenzione che in passato le vicende elettorali. Noto infatti, con piacere, che stavolta attorno ai destini dell’OdG regionale ci sono un interesse e un attivismo del tutto inconsueti, nuove vocazioni, candidature autorevoli, professionalità brillanti ed estranee dal “solito giro”. Buon segno, almeno in apparenza. Speriamo non sia invece il segnale del fatto che i giornalisti hanno principiato ad agitarsi ora che sentono il terreno traballare sotto i piedi della professione.

C’è una inusuale e piacevole entropia intorno alle grandi manovre per il rinnovo del consiglio dell’OdG della Toscana: facce (anche) nuove, candidati giovani e brillanti, un certo entusiasmo e un’inconsueta fibrillazione.
Sia chiaro: non sono mancati neppure stavolta gli inevitabili giochini, le operazioni di corrente e di sponda, le cordate ideologiche, i piani di “reconquista” fatti a tavolino, i rigurgiti di ambizione personale, la sindrome da “culo di pietra” di chi, da tempo immemorabile, occupa certi strapuntini (sarebbe indegno chiamarle poltrone) in assise capaci di offrire al massimo, per taluni soggetti, ottimi luoghi di imboscamento per una pur retribuita e rimborsata pennichella.
Tutti fenomeni umani, fisiologici, inevitabili. E, va aggiunto, più frequenti nelle “corse” al grande consiglio nazionale di Roma che non al più agile organo collegiale toscano.
Intorno al quale, come osservavo sopra, si nota viceversa una vivacità imprevista.
La prima e auspicabile chiave di lettura potrebbe essere la raggiunta maturità professionale di una nuova generazione di candidati, giornalisti esperti ormai abbastanza ma anche giovani quanto basta per coltivare ideali e spendere energie, disposti a mettersi in gioco per dare un contributo diverso ai destini non proprio luminosi della categoria. E’ la chiave che ovviamente preferirei si rivelasse veritiera. Parlo della generazione successiva alla mia, quella dei trenta/quarantenni, che ha toccato con mano o visto da vicino una precarietà della professione ignota ai più anziani e quindi è cresciuta scafata, attrezzata, meno illusa se non disillusa, meno avvezza alle sicurezze, meno orba di fronte ai guasti evidenti del mestiere e della sua organizzazione. Un quadro che implica, è ovvio, la curabilità di tali guasti e la possibilità di una correzione di rotta.

A fronte di questa lettura ottimistica della diveniente realtà ne sta però un’altra, che prende forma dal vissuto e dal già visto, nonchè dalle non felicissime esperienze registrate di recente in Toscana nell’altro polmone del giornalismo regionale, ovvero l’Assostampa, con le sue paralisi e le sue laceranti divisioni interne fondate sugli apriorismi, i personalismi, il manicheismo ideologico, con risultati che gli addetti ai lavori ben conoscono.
Ecco, in questo quadro l’agitazione di candidature e di vocazioni che si riscontra attorno alle elezioni per il nuovo consiglio dell’OdG potrebbe assumere una connotazione diversa. Ed essere letta come il sintomo di un’inquietudine diffusa, di un’incertezza generalizzata non sul come, ma sul se della categoria. Come il segnale, insomma, di una resipiscenza tardiva sui malanni di una professione che è malata grave, gravissima. E non per colpa della malattia, ma della sinecura con la quale per troppo tempo medici distratti (o incompetenti?) e pazienti inconsapevoli (o impreparati?) l’hanno tollerata, a volte perfino assecondata, senza impedire che degenerasse divenendo, come probabilmente è diventata, incurabile.
Se in caso fosse questo non ci sarebbe allora troppo da rallegrarsi per la rinnovata vitalità attorno all’Ordine. Perchè se è vero che, alla vigilia del terremoto, il bestiame si agita dando agli umani il preavviso di una catastrofe imminente, è vero anche che spesso questi segnali non vengono compresi e soprattutto che, se compresi, non sarà in alcun modo possibile arginare o impedire gli effetti devastanti delle scosse.

Quale sia la verità lo scopriremo alla maniera di Battisti/Mogol, cioè solo vivendo. Ma sarebbe importante che delle due ipotesi i candidati e i futuri consiglieri fossero almeno consapevoli. Che il recupero del terreno perduto possa prendere le mosse dal pletorico leviatano romano è alquanto improbabile, anche se il progetto di riforma dell’Ordine, che è in itinere, si concludesse con successo e nei tempi indispensabilmente rapidi che le circostanze richiedono.
E’ invece a mio modestissimo parere più praticabile l’idea che certi stimoli, certi messaggi, certe decise inversioni di rotta possano ottenersi attraverso il lavoro dei consigli regionali (organi anche questi, sia detto, che in Italia operano a velocità e con filosofie fin troppo variabili). E la Toscana ha il peso, i numeri, le professionalità e la tradizione per giocare un ruolo importante in questo contesto.
Da parte mia, se sarò eletto, cercherò di spingere il più possibile in questa direzione. Se non lo sarò, spero lo faranno i colleghi.
Ai quali faccio comunque il mio in bocca al lupo, come lo faccio a tutti i giornalisti toscani e non. Di speranze, e di fortuna, oggi c’è un assoluto bisogno.