A Firenze chiudono in media 40 chioschi l’anno, presenze familiari di strada, a volte architettonicamente pregevoli. Spesso li abbattono, lasciando vuoti desolanti. Ci si chiede come salvarli, ma a volte si confonde tra attività e contenitore. E se poi mancano i giornali…

 

Quando chiude un negozio storico, dispiace a tutti. Anche quando chiude il macellaio di fiducia di cui eravamo stati clienti per decenni. O il ristorante di quartiere dove la domenica tutte le famiglie del circondario andavano a pranzo.
Bandoni chiusi e vetrine oscurate fanno sempre tristezza. Eppure sono “a filo” della strada, devi passarci di fronte per accorgerti che l’attività non c’è più. Altrimenti potrebbero passare settimane o mesi prima di rendersene conto.
In questi giorni a Firenze si dibatte invece sulla progressiva chiusura e il successivo abbattimento di tante edicole. Antiche e anche non. Ne chiudono in media, pare, 40 all’anno. Una strage. Ne parla diffusamente qui il collega Mario Lancisi.
L’edicola (e l‘edicolante) svolgono, o forse si dovrebbe dire svolgevano, un ruolo socialmente importante.
Sono, anzi erano un punto di riferimento viario, quasi topografico, utile perfino per l’orientamento (“dopo l’edicola a destra…“), perchè molti chioschi stanno sulla strada, sul marciapiede, in mezzo alle piazze, agli angoli di un incrocio. Insomma si vedono, si notano bene e subito.
Costituivano poi, anche architettonicamente parlando, una sorta di confessionale laico: luoghi piccoli, angusti e stracolmi dove si passava quasi tutti i giorni, si scambiavano due chiacchiere col titolare e, attraverso cosa si comprava, in qualche modo ci si confessava. Impossibile o quasi nascondere le proprie scelte. In base alla mazzetta dei giornali che ti portavi sotto braccio uscendo si capiva quale quotidiano leggevi e quindi di quale presumibile orientamento politico eri, se compravi fumetti o figurine avevi probabilmente figli, se compravi un femminile avevi una moglie, se compravi Playboy ti potevi atteggiare a intellettuale gaudente, se compravi i giornalini porno eri probabilmente scapolo o forse soltanto allupato. Dal periodico acquistato si intuivano hobby e passioni.
Voglio dire che entrare in edicola metteva in piazza una parte di te.
Più ancora del benzinaio e delle stazioni di servizio in città, ormai anch’esse pressochè scomparse e comunque sostituite da anonimi self service, le edicole erano lo specchio della società e dell’umanità che viveva loro intorno.
Ora si dice: salviamole.
Ma come? Qualcuno, tipo il mio amico Leonardo Tozzi, osservatore indubbiamente acuto delle cose cittadine, suggerisce di agevolarle finanziariamente: “Per esempio – scrive – il Comune potrebbe abbattere la Tosap sul suolo pubblico per dare un pò d’ossigeno ai giornalai. Meno retorica più fatti. Altrimenti tra qualche anno i giornali li trovate solo al centro commerciale, forse…“.
Ma, a mio modesto parere, il salvataggio delle edicole dipende solo dal salvataggio del loro business, che è la vendita dei giornali. E quindi dall’esistenza, perfino dalla sopravvivenza dei giornali. I quali, invece, tendenzialmente non esistono più e quindi nessuno più li compra (o viceversa, il che è lo stesso). Le ragioni sono note. Da un lato la carta ha una fisicità ingombrante soppiantata dalla maneggevolezza digitale, da un altro la carta – nel senso dei giornali di carta – ha costi infinitamente più alti dell’editoria on line. Soprattutto fino a quando in rete si troveranno gratis i contenuti per i quali è invece necessario comprare il giornale in edicola.
La questione è attualissima nel mondo editoriale, ove ormai la tendenza a mettere a pagamento i contenuti digitali è evidente e, direi, tanto giusta quanto ineluttabile.
Ma questo non salverà i giornalai.
Rispondevo al Tozzi: “Sai da che parte sto, ma è una battaglia perduta da tempo. Un’edicola è un’attività economica, non può sopravvivere per accanimento terapeutico. I giornali non si vendono e i pochi rimasti chiudono. Io ormai vado in edicola per fare il conto delle testate sparite. Quasi nessuna di quelle che leggevo c’è ancora, alle superstiti mi sono abbonato. “Riciclare” i chioschi facendone sede di altre attività salva la struttura, non il suo commercio. E’ come i negozi di dischi: mosche bianche. Non a caso ogni anno c’è il Record Store Day, che però, nostalgie a parte, non produce altro. Facciamo la Giornata delle Edicole? Io ci sto, ma questo purtroppo non le salverà“.
Insomma occhio a fare dell’edicolante un’altra di quelle zuccherose categorie che popolano il ghetto dei cosiddetti “mestieri in via di estinzione” i quali, per forza o per amore soppiantati dal mondo che cambia, si tenta di tenere artificiosamente in vita con improbabili incentivi o con irritanti mascherate. Non parlo di forme artistiche che richiedono abilità non comuni, ma di certi onesti mestieri “popolari” il cui declino è stato sancito dal banale sopravvenire di modi più economici o più remunerativi di esercitarli.
Intendiamoci, da un punto di vista etico, culturale e filosofico sono il primo a dolermene.
Ma non posso far finta che la realtà sia diversa da quella che è.
E allora con le edicole che si fa?
Noi giornalisti conosciamo il problema: i giornali cartacei, in via di estinzione, sono divenuti una piccola nicchia merceologica che trova sempre più facilmente posto, come dice Leonardo Tozzi, su uno scaffale di centro commerciale, senza bisogno di luoghi dedicati.
Una proposta interessante e al tempo stesso disarmante viene da un altro giornalista (enogastronomico) fiorentino che conosco bene, Leonardo Romanelli. Che tramite il suo blog (qui) lancia l’idea di trasformare i chioschi degli ex edicolanti in punti vendita per lo street food: dalla schiacciata al lampredotto.
Intuizione magnifica, dico io, sotto il profilo commerciale, del recupero architettonico e della valorizzazione della struttura rimasta vuota, ma si tratta di un “riciclaggio“, cioè una sorta di pietra tombale che dà per scontata la morte dei giornalai, spostando la questione dal come salvare le edicole a come riutilizzare i resti di ciò che furono.
Altri obiettano che molti si sono già trasformati in venditori di cartoline, gratta e vinci, souvenir pacchiani.
La prospettiva, niente affatto rassicurante, è che in un domani prossimo ci troveremo i chioschi dei giornali a fare da tappezzeria per turisti come i fiaccherai, anticaglie coreografiche ad alto prezzo per gite “esperienziali” insomma, durante le quali sfogliare un quotidiano al banco costerà come una cena a ristorante?
Incubo…