Gente che scala le facciate, si fa lo shampoo nelle fontane, vomita per strada e tromba nelle piazze. E’ il prezzo che paga chi, per omissione di controllo e malinteso senso della liceità, consente agli altri di fare ciò che a casa loro non farebbero mai.
In un articolo pubblicato oggi sul Corriere (qui), Severgnini si chiede se sia colpa “nostra” se i turisti stranieri sono maleducati. Quando ad esempio fanno sesso sui ponti veneziani, vomitano nelle piazze fiorentine, evacuano nei vicoli romani.
Sebbene, come sempre, ben scritto, il pezzo ha a mio parere due limiti: il primo è che mette insieme troppa roba (tipo l’immagine nazionale all’estero e i disastri italioti) che con il problema in sé c’entra poco; il secondo è che, soprattutto, l’autore non specifica che intende per colpa “nostra”. Nostra di chi?
Perché che in qualche modo sia “nostra”, cioè di noi italiani, non c’è dubbio, visto che le malefatte dei forestieri si verificano qui in Italia. Mi pare ovvio.
E’ però anche troppo comodo buttarla genericamente sul malcostume o sulla negligenza nazionale: io, come cittadino, non solo non mi sento affatto responsabile se un imbecille svizzero sfreccia a 200 kmh sull’autosole, quando a casa sua guida come una lumaca, ma casomai mi sento parte lesa. Idem dicasi se due svedesi se la spassano in pubblico, tra i passanti.
Sarò banale, ma a me la risposta al quesito di Severgnini sembra infatti lampante: non è una questione di costume italico o di regole che non ci sono, ma semplicemente della mancanza di volontà di far rispettare le regole.
Che ci sono, ci sono eccome. Nelle leggi e nelle norme di comportamento non scritte che la gente conosce e avverte benissimo. Ma se nessuno ne controlla il rispetto, o se nessuno, verificata la mancanza di rispetto, interviene né sanziona il comportamento contrario alle norme, queste perdono ogni significato e chiunque – soprattutto i prima increduli e poi furbi stranieri – ne approfitta per fare quello che vuole.
Semplice, no?
Ripeto, ai miei è occhi è così solare che spiegarlo con altre parole mi riesce difficile.
Ci proverò con alcuni esempi. Anzi, alcuni flashback.
Flashback 1. Nel 1980, con un gruppo di amici squattrinati, feci un viaggio a Parigi. Treno in classe-bestiame, hotel impresentabile, scatolette dei viveri portate da casa. Roba parecchio spartana, insomma. Il primo giorno, in una bella ma non famosa piazza, stanchi dopo una lunga scarpinata ci sediamo sui sassi ai bordi di un’aiuola. Intendiamoci: niente pic nic, niente siesta. Stavamo solo compostamente seduti e nessun cartello vietava di farlo. Ciononostante, dopo un paio di minuti arriva un flic, un poliziotto insomma, e, con un movimento misurato ma esplicito dello sfollagente, ci fa sloggiare. Al volo ci fu chiaro che a Parigi non si può sedersi sulle aiuole e che se lo fai, qualcuno ti caccia. Quindi non lo facemmo più.
Flashback 2. Come qualcuno sa, sono senese e Piazza del Campo è, o meglio era, il salotto buono cittadino. Negli anni ’60, mia madre mi vestiva a puntino e mi portava lì a passeggio. Massima trasgressione permessa, dare un po’ di granturco ai piccioni e poi divertirsi a scacciarli. Poche volte e con la voce bassa. Di sedersi, giocare e fare schiamazzi, nemmeno a parlarne. E difatti nessuno osava.
Flashback 3. Tardi anni ’70. Come tutti i coetanei, durante i giorni del Palio ci si trovava in contrada inseguendo i riti contradaioli, comprese le sbornie precoci. Era un’atmosfera relativamente trasgressiva (si fa per dire), ma attentissima al rispetto delle regole non scritte. Tra queste, divieto di eccessi pubblici e di scene sconvenienti. Ciò che era vietato a noi era ovviamente vietato anche ai turisti: il decoro della città era sacro. A cominciare da bivacchi e sacchi a pelo, che venivano efficacemente dissuasi a suon di gavettoni senza che nessuno (pubblici amministratori, benpensanti, cittadini, moralisti) trovasse qualcosa da ridire. Ma il messaggio arrivava e di campeggiatori in centro non c’era traccia.
Il denominatore comune di questi tre flashback è il seguente: in ognuna delle situazioni descritte c’era qualcosa che non era permesso e qualcuno che (il flic, la mamma, i ragazzotti) controllava che nessuno si permettesse. Risultato: nessuno si permetteva.
Se però il vigile vede ma finge di non vedere, o se vede ma poi gli viene chiesto di non vedere, o se interviene e poi qualcuno, nel nome di un più o meno malinteso o più o meno malfidato senso della liceità, lo critica denunciando attentati alla libertà, poi non lamentiamoci.
La dirò anche più grossa: se il prezzo da pagare per far campare il carro di Tespi del turismo di massa è trasformare il mio paese in una pattumiera o in una landa a trasgressione libera, preferisco avere molti turisti in meno e un po’ di dignità in più.
La stessa dignità e presentabilità che domani mi riporterà quei turisti. Forse maleducati come prima, ma molto più attenti a rispettarmi.