di URANO CUPISTI
Altro che red light district, dopo la prima e fugace visita di dieci anni prima tornai nella capitale olandese scoprendone i tre valori fondamentali: tolleranza, libertà e orgoglio.

 

C’ero stato nel lontano 1980, ma di sfuggita. Solo per due giorni, in attesa di un volo di rientro. Due giorni intensi devo dire. Il quartiere Walletjes (quello a luci rosse), il centro città e il Museo Van Gogh. Dissi allora: ”Devo tornare, perché Amsterdam non può essere solo questo”.

Primavera 1991, dieci giorni da dedicare alla città delle tre X. Il simbolo più iconico di Amsterdam sono infatti le tre croci di Sant’Andrea. Disposte verticalmente su sfondo rosso, si trovano nello stemma e sulla bandiera della città. Trovare il loro significato non è stato facile viste le testimonianze difformi raccolte. Ne ho scelta una e l’ho fatta mia: i valori di Amsterdam, come tolleranza, libertà e orgoglio. E questa interpretazione è stata la mia guida alla scoperta della “Venezia del Nord”.

Le prime cinque giornate le dedicai al patrimonio artistico, all’elaborato sistema di canali e alle case strette con facciate a capanna, eredità del XVII secolo, l’epoca d’oro della città. Visitai il Quartiere dei Musei, con ri-visita a Van Gogh, il Rijksmuseum, con opere di Rembrandt e Vermeer e il museo Stedelijk, dove sono esposte opere d’arte moderna. Per spostarmi alternavo battelli e bicicletta, che è uno degli emblemi cittadini, viste le numerose piste ciclabili già esistenti e il diffusissimo, proverbiale uso delle due ruote.

Ma procediamo per “valori“, come premesso.

Tolleranza. Ad Amsterdam non tutto era (e credo tuttora non sia) concesso come poteva sembrare, anche se a volte era scelta come destinazione proprio per la sua tenace aura di capitale della trasgressione. Esistevano già leggi severe, consuetudini radicate e tradizioni che non potevano essere disattese. Luogo ideale in cui valeva un principio di base: rispetto reciproco. Le droghe leggere, come si sa, sono ammesse e la loro vendita è consentita solo ai maggiorenni  nei coffee-shop autorizzati.  Molta attenzione alle droghe pesanti, proibite con pene severissime.

Libertà. Ad Amsterdam c’era il Museo della prostituzione. I quartieri a luci rosse erano tre: si tratta delle aree urbane di Walletjes, Singel e Pijp, continuamente affollate di giorno e di sera, vuoi dagli interessati, vuoi dai curiosi  che si aggirano tra sexy shop e musei erotici. Walletjes era il più grande e noto quartiere a luci rosse di Amsterdam ed era costituito da una rete di vicoli medievali, lungo i quali c’erano circa 300 “camere-cabine”, affittate da prostitute che offrono i loro servizi sessuali da dietro una porta di vetro, di solito illuminata con luci rosse. Una libertà che, pare, risalga al 1300, quando le donne dedite al piacere a pagamento giravano per i vicoli con lanterne rosse incontrandosi con marinai di passaggio al porto, per poi andare nei bar, nei club e nei locali di intrattenimento osé. Nel 1991 già esistevano tour operator locali che organizzavano visite “accurate”  nel Walletjes con incluse “consumazioni”.

Ed infine toccai con mano l’orgoglio olandese (“dutch pride”). Verificai davvero l’attaccamento e la passione che gli olandesi provano per la loro cultura, storia e tradizioni, che tutte si manifestano attraverso il colore arancione legato alla casa reale e al loro eroe nazionale, Guglielmo d’Orange.

Fu l’ultima volta che andai ad Amsterdam. Sono passati ormai 35 anni, ma mi dicono che non sia molto cambiata.

O, almeno, spero.