VIAGGI&PERSONAGGI, di Federico Formignani
Baia d’Australia, così enorme che non sembra una baia. Un oceano non più Indiano, ma non ancora Pacifico: il Mare Antartico. L’affonto sulla barchetta d’un omone di sorriso rude e modi spicci.

 

L’immensa Baia d’Australia, a sud del Paese-continente, è talmente grande che la si definisce baia solo guardandola dall’alto (magari dalle navette spaziali o dai satelliti in orbita), oppure consultando un atlante. Percorrendone la costa, infatti, non si ha l’impressione che si tratti di una baia, ma si avverte comunque in maniera netta l’influenza e il fascino che esercita il mare che la fronteggia. Non è più Oceano Indiano, non è ancora Oceano Pacifico: è un inquietante Mare Antartico – nessuna terra sino al Polo Sud – che anche nelle belle e ventose giornate di sole trasmette alla pelle brividi di freddo. D’altronde non poteva avere altro nome che questo, dato che i due estremi, Port Lincoln ad est e il parco nazionale di Cape Arid a ovest, sono distanti migliaia di chilometri e racchiudono questo infinito golfo fatto di immenso mare aperto dai molti blu che all’orizzonte si fanno più cupi.

La Eyre Peninsula (pronunciata iàr) ad ovest di Adelaide è un territorio fantastico, disseminato di parchi naturali, laghi salati – compresi questi nelle montagne Gawler Ranger – che verso la costa si appiattiscono proprio dove si apre e si insinua profondamente la Baia di Baird; all’interno l’insenatura prosegue il proprio cammino cambiando nome in Baia di Searcy; terra e mare, tutto è all’insegna della maestosità.

Mettiamola così: gli spazi e le profondità di chi vive in Europa, quelli che possono entrare nel campo visivo di una persona, divergono profondamente da quelli possibili ed esageratamente vasti di altri continenti; in questo caso l’Australia. Lo scorrere della costa – ora alta e scoscesa, ora bassa e defilata – dà vita ad una varietà di promontori e baie minori, frammenti di scogli e piccole isole che il lavorio incessante del mare, unito a quello dei venti, ha scalzato dalla compattezza della terra ferma. Intorno alle frequenti insenature nelle quali l’oceano penetra, vivono grandi colonie di animali marini che popolano con soddisfazione queste acque, più fredde che tiepide: delfini e leoni marini e al largo, squali di ogni specie. Fanno da contorno una moltitudine di volatili delle più diverse specie, compresi enormi gabbiani dai becchi adunchi e dagli sguardi feroci.

L’avventura acquatica ha per sede la baia di Baird.

Due lingue di bassi rilievi contornano la baia che, allo sbocco in mare aperto, vengono quasi uniti da un’isoletta rocciosa: la casa dei leoni marini. Qui vive una colonia di questi animali che prospera grazie alla protezione di cui gode, alla pescosità delle acque e alla assoluta tranquillità del luogo. Lo specchio di mare che si allarga prima dell’isola – ora dai fondali bassi, ora più profondi, sempre comunque dalle acque limpide e dai colori cangianti – è il regno dei delfini.

L’imbarcazione speciale dal fondo piatto, con un gran vetro per vedere le evoluzioni degli animali sotto il pelo dell’acqua, è capitanata da Alan, un omone dal sorriso rude e dai modi spicci; lui dice a chi è in barca dove prendere posto; lui controlla che ognuno abbia a portata di mano il necessario per l’escursione (pinne, mute, maschere, boccagli); lui ancora elargisce consigli e incitamenti per i più timorosi nel scivolare dal natante nell’acqua della baia. La barca è attrezzata al meglio per questi incontri ravvicinati con le creature marine; solo dopo aver ascoltato i consigli comportamentali ed essersi affidati all’esperto capo guida che li affiancherà, i coraggiosi – una decina in tutto – scendono in mare ed io non sono fra questi!

Subito il capitano Alan inizia una serie di evoluzioni circolari attorno ai bagnanti, per attirare col movimento della barca i numerosi delfini della zona, peraltro abituati a questi rituali. Arrivano veloci, emergono dall’acqua e si rituffano, circondano i pesci bipedi facendo amicizia e giocando con loro. Il balletto acquatico prosegue a lungo ed è davvero bello vedere come i delfini si avvicinino senza timore agli uomini in muta; in certi momenti sembra quasi si divertano nel dare piccoli e delicati colpetti di muso alle spalle e alle braccia dei nuotatori. Spariti i delfini – ora siamo sotto costa dell’isola rocciosa – è il momento dei leoni marini. Prima sono i cuccioli, da sempre i più curiosi e intraprendenti, a compiere folli tuffi e vorticose giravolte attorno ai bagnanti; poi è la volta dei leoni più anziani, anch’essi coinvolti dal ribollire delle acque. Il patriarca della comunità, un grosso leone marino apparentemente diffidente, si unisce al gruppo scatenato dei leoncini baffuti e i giochi continuano, con grande soddisfazione del capitano Alan. Il ritorno a bordo è un cicaleccio di commenti sorridenti tra chi è stato in acqua e chi è rimasto a bordo: una ventina di persone in tutto, alle quali ora il capitano offre spugne e accappatoi, bevande calde in abbondanza; trova persino il tempo di ironizzare, rivolto a me, sulla qualità del caffè che distribuisce: non è italiano… aggiungendo dopo una studiata pausa: it’s better!

Quando l’imbarcazione si allontana dall’isola, ancora si intravedono le sagome di un paio di cuccioli che ci inseguono, per perdersi poi nell’azzurro delle acque.