VIAGGI&PERSONAGGI, di Federico Formignani
La Białowieża Puszcza tra Polonia e Bielorussia, ultimo scampolo di foresta primordiale europea, è il regno dello Żubr, il raro bisonte continentale. Ma è più difficile vederne uno, pronunciare il nome della guida polacca o scandire il suo scioglilingua?

 

La Białowieża Puszcza (in polacco: deserto, terreno vergine) è uno splendido scampolo di foresta primordiale al confine tra Polonia e Bielorussia; un tempo il territorio occupato dalla foresta era immenso: dalle isole britanniche alla Siberia. Al termine di lunghi secoli di traversie dinastiche, guerre, sistematiche spoliazioni del patrimonio boschivo e faunistico, il territorio continua tuttavia ad essere l‘orgoglio dei polacchi; frequentarlo dà nuova linfa alla mente e allo spirito, soddisfa i cinque sensi, allarga i polmoni per la purezza dell’aria.
Agata Barszezewska, abbigliamento da cavallerizza e ottimo italiano, è l’accompagnatrice che da anni vive in simbiosi con la foresta di questa zona orientale della Polonia. Nell’area a protezione integrale si va a piedi (in bici le guardie) ma intanto c’è un giro in carrozza, trainata da possenti cavalli, nella parte di verde che circonda la zona di rispetto. Il cocchiere, un omone esagerato dalla chioma biondastra come la criniera dei suoi quadrupedi, si inoltra per sentieri in terra battuta tra alberi enormi e scavalca placidi fiumi su rumorosi ponti di legno. Finita la ricreazione, è il momento di entrare nel regno incantato dello Żubr (Bisonte).

Varcato il grande cancello in legno della riserva, si cambia mondo e prospettive. Tutto è silenzio; nitidi e intermittenti sono i fruscii alati dei volatili e i loro richiami sonori; centinaia di specie di uccelli: corvi, cornacchie, merli che fanno i nidi all’interno di grossi tronchi cavi; cince, ghiandaie, civette nane e frenetiche famiglie di picchi: quelli rossi maggiori, quelli verdi, i picchi che prediligono l’abete rosso e quelli detti dal torso bianco che si nutrono di insetti degli alberi caducifogli. Non mancano le aquile di mare.
Camminare lungo i sentieri della riserva è un po’ rivivere le emozioni delle favole dei fratelli Grimm; tutto è sospeso, tutto è vivo e vitale. Agata guida sicura lungo sentieri antichi (che è obbligatorio rispettare e percorrere) mentre i raggi del sole fendono l’intrico dei rami, sino a illuminare, al suolo, la vegetazione in decomposizione, i tronchi slabbrati o seghettati di enormi piante morte.

Ma nulla nella foresta è vivo come una pianta morta; è la culla ideale per nuove manifestazioni di vita animale e vegetale. Sui tronchi allignano licheni e funghi, alcuni dei quali sono grandi come coperchi di pentola. In questo universo di incredibile bellezza si muovono altri attori: anzitutto i bisonti in centinaia di esemplari, poi cervi, caprioli, alci, castori, cinghiali (oltre tremila e sono cinghiali enormi e potenti).
Non mancano branchi di lupi, quindi linci, tassi, volpi, procioni, donnole, martore e lontre. Nella foresta risaltano gli opposti: ospita il più grande mammifero (bisonte) e il più piccolo (toporagno).

Infine, lo spettacolo superbo e continuo delle piante, alcune vecchie di seicento anni, vere regine del Parco Nazionale: querce, abeti rossi, pini silvestri, frassini, tigli – con esemplari che raggiungono i quaranta metri d’altezza – quindi carpini, ontani, salici, oltre ad arbusti, piante acquatiche e felci di tutti i tipi e dimensioni. Tra le piante e il verde del sottosuolo, milioni di insetti: alcuni xylofagi, altri necrofagi.
Per fortuna è di casa anche il maggiolino. E a proposito di questo coleottero, Agata ricorda uno scioglilingua molto popolare in Polonia; questo: “W Szczebrzeszynie chrząszcz brzmi w trzcinie” (“Nel paese di Szczebrzeszynie un maggiolino ronza nel canneto)”.
Qui a Białowieża – conclude – ronza in bocca persino a noi polacchi!“.