In Casentino, grazie alla sinergia tra l’Associazione Italiana Cuisine in the World e il XVI “Capolavori a Tavola”, l’iniziativa benefica ideata da Simone Fracassi, si è (ri)parlato di come perpetuare la nostra tradizione gastronomica sul pianeta. Ma c’era un convitato di pietra.
In un Casentino sfolgorante di verde come solo certe giornate di luce esplosiva e di calore ardente sanno restituire, si è parlato nuovamente di un tema che non passa mai d’attualità. Ma che rischia anche, per le troppe volte in cui se ne discetta e basta, di diventare tiepido o perfino rancido: il riconoscimento della cucina italiana all’estero come patrimonio immateriale dell’umanità e, più in generale, in che modo tutelare questo che a tutti gli effetti è un patrimonio culturale nazionale.
L’argomento è assai più complesso e assai meno pedestre di quanto potrebbe sembrare: coinvolge la storia del costume, dell’economia, dell’emigrazione, dell’alimentazione. E lambisce settori altrettanto importanti per l’Italia e l’italianità: dalla qualità dei prodotti alimentari a quella della ristorazione, dal ruolo dei cuochi a quello dei produttori, ovvero gli agricoltori e i trasformatori. Per non dire di quello, assai sottovalutato, di chi la cultura e le derrate le esporta dal nostro paese e le importa nei paesi stranieri, spesso tra barriere e burocrazie inenarrabili. Anche se mai pari all’italica negligenza e inefficienza nel sostenere gli “interessi strategici” nostrani, una vera palla al piede che, decennio dopo decennio, ci trasciniamo e in barba alla quale – qui il vero genio nazionale nell’arte della sopravvivenza – restiamo a galla, nonostante tutto.
Tra Rassina, Poppi, Bibbiena e Stia nei giorni scorsi la neonata Associazione Italiana Cuisine in the World è stata infatti capace di portare decine di chef, stellati e non, alcuni dei quali titolari di importanti ristoranti nel mondo, esperti, addetti ai lavori e giornalisti per una kermesse di dibattiti e degustazioni sull’argomento.
Il momento clou, dialetticamente parlando, è stato proprio il doppio confronto del 20 giugno alle Terme di Stia: vi hanno preso parte il presidente dell’associazione, Rosario Scarpato, il vicepresidente, nonchè anima operativa del tutto, il macellaio casentinese Simone Fracassi, e i delegati (in rappresentanza di un settore che conta oltre 80.000 ristoranti nel mondo, “ambasciatori” permanenti della nostra cucina) dell’Italian Cuisine in the World Forum, movimento nato nel 2011 come iniziativa di itchefs-GVCI, con più di 2500 iscritti tra chef, restaurant manager, comunicatori e culinary professional legati alla ristorazione e alla gastronomia tricolore di tutto il pianeta.
Si è parlato (purtroppo con ampio uso di condizionali, ovvero con scarse prospettive di attuazione pratica dei pur buoni propositi) sia della necessità di tutelare, attraverso la chiave-Unesco, la cucina italiana, sia, in quest’ottica, del futuro dei prodotti dell’eccellenza enogastronomica italiana sui mercati esteri. “Il riconoscimento – ha affermato Scarpato – potrebbe meglio farne comprendere non solo l’importanza, ma anche la necessità di un vero rispetto e dei modi di una corretta continuazione della tradizione“. Punto, quest’ultimo, dolente e problematico assai, va detto, nonchè di difficilissimo approccio. Sulle difficoltà delle esportazioni di prodotti autenticamente italiani all’estero, a causa di una burocrazia spesso soffocante, dello scarso supporto governativo e della mancanza di accordi bilaterali che facilitino gli scambi tra l’Italia e i paesi di sbocco più appetibili, andando oltre i vincoli penalizzanti sovente imposti dagli accordi internazionali, si è espresso Vinicio Eminenti, imprenditore dell’import/export alimentare, da trent’anni presente sul mercato cinese. Altro elemento critico emerso dal dibattito è stato poi quello, non meno serio, del controllo sulla qualità di ciò che, a marchio made in Italy, arriva sulle tavole di tutto il mondo e della necessità, per dar forza alla cucina italiana, dell’utilizzo di prodotti di reale eccellenza.
Tutto chiaro, insomma?
Mica tanto.
Le parole più pesanti sono giunte, mute però, dal convitato di pietra: ovvero le istituzioni chiamate in causa, quelle che dovrebbero costituire l’interlocutore naturale di chi ha in mente un progetto così grande e impegnativo: non solo l’Unesco, ma l’Ice, le Camere di Commercio, i Ministeri, etc.
In loro assenza (e non credo la colpa sia stata degli organizzatori) sono emersi alla fine un comprensibile e a volte un po’ folkloristico patriottismo, molte petizioni di principio, qualche giusto proclama, dichiarazioni d’amore, fedeltà eterna e riconoscenza verso chi ha avuto il merito di far conoscere nel pianeta tutto il ben di Dio di cui disponiamo, con abili dribbling dialettici su questioni più delicate come ad esempio l’ambiguo concetto di “qualità di massa“, cioè la pretesa disponibilità su vasta scala, ampio raggio geografico ma a basso prezzo di prodotti di alto livello (“Ammesso che la domanda ci sia davvero e sia stabile“, ha giustamente sottolineato nel suo intervento il direttore di Italia a Tavola, Alberto Lupini, “forse dobbiamo anche chiederci se abbiamo le materie prime per produrli e, visto che quasi in nulla siamo un paese eccedentario, se ha senso dover importare dall’estero più maiali per riesportarli poi in forma di prosciutti italiani“.
Gastronomicamente parlando, invece, il momento clou della tre giorni è stato la sera del 20 giugno stesso, quando nel bel borgo di Corsignano, presso Poppi, l’infaticabile Fracassi ha organizzato la XVI edizione del suo Capolavori a Tavola, appuntamento di beneficenza da lui stesso creato e diretto: 400 ospiti, 20 chef stellati, 4 pastry chef, 4 gelatieri, 4 pasticceri, 2 cioccolatieri, 8 produttori gastronomici, 8 cantine vinicole, 2 birrifici ed un produttore di caffè, insieme per raccogliere fondi per l’Associazione Italian Cuisine in the Word che utilizzerà per promuovere e tutelare la cucina italiana nel mondo.
Qualità altissima sotto tutti i punti di vista, in questo caso, con alcuni picchi memorabili.
Speriamo che per arrivare all’Unesco bastino, ma qualche dubbio continuiamo ad averlo.