L’abuso pubblicitario di toscanismi posticci potrebbe riuscire nel miracolo di unirci tutti sotto la bandiera della difesa della nostra lingua (o accento, che dir si voglia)?
Prendete un toscano, di qualsiasi provincia, e fategli pronunciare la parola “calma“. Egli la pronuncerà esattamente come a Bergamo, Bari, Venezia, Roma o Palermo: dirà “calma”, con la “c” dura. Perchè in Toscana la “c” si aspira solo quando è intervocalica, cioè tra due vocali (“vohali“, appunto). Ma oggi, secondo un giornalista di uno dei più importanti giornali italiani e che quindi l’Italia dovrebbe averla girata, a Firenze, Siena o Livorno si dice “halma“.
Non voglio certo gettare la croce addosso al collega, che di sicuro non è il primo nè l’unico ad aver preso questo inoffensivo abbaglio.
Ma è un ottimo esempio per denunciare una pericolosa deriva in atto anche in rete e particolarmente sui social: la creazione dal nulla, e quindi l’adozione strumentale, di un toscano mediatico, ossia finto, grottesco, frutto di luoghi comuni piuttosto patetici e di una certa ignoranza destinata, a sua volta, a generare ignoranza.
A inaugurare la sindrome avevano in realtà provveduto già, negli anni ’90, i film di Pieraccioni, con quell’insopportabile toscana favella piegata ad uso di grassa risata cinematografica, che ha riempito la testa degli italiani di espressioni tanto false quanto insopportabili, soprattutto per i toscani veri.
L’impetuoso avanzare sul web, però, di un nuovo pseudovernacolo tosco-pubblicitario, in perfetto equilibrio tra il becero e il caricaturale, mi pare la goccia destinata a far traboccare il vaso. O almeno il mio.
“Suvvia” scambiati per “ovvia“, uso indiscriminato della parola “ciccia” (a quando il passaggio all’ancora più vernacolare “ciccio”?) parlando di carne, fiorentinizzazione spuria (“‘icche ‘ole“, “la gli’è lei“, “guarda come la va“) di qualsiasi espressione messa in bocca a gente che, per nascita, mai l’avrebbe pronunciata in quel modo. E’ un continuo: tra poco si sentirà dire “i’ Palio di Siena“, facendo venire in un colpo solo l’infarto sia ai guelfi che ai ghibellini di un tempo.
Mi rendo conto che la questione è in apparenza bagatellare.
Ma se si riflette un attimo sulla facilità con la quale la gente assimila i linguaggi che orecchia in rete o in tv (ho sentito gente più italiana di me che sul proverbiale campo di calcetto, per lamentarsi di un passaggio sbagliato, dice “my God!“, tanto per fare un esempio dei dilaganti anglicismi che ci ammorbano, anche il politica: job’s act, spending review, governance, etc), il quadro è preoccupante. Eravamo forse appena usciti dal tunnel del romanesco a tutti i costi ed eccoci rischiare il precipizio di un toscanismo da operetta diffuso capillarmente e adottato come cifra espressiva di riferimento mediatico-commerciale.
Eh no, maremma maiala…