Assaggiato in anteprima il “vino doppio” che, tra innovazione e provocazione, Michele Manelli di Salcheto presenta sabato al Vinitaly: il “Salco 2005”, per metà Nobile Docg (tappo di sughero) e per metà Igt Toscana (tappo a vite). Il tutto in una cassetta di legno destinata a “miniorto”. E, dall’estate, nuove strutture aziendali iperecologiche.

Quando il 5 marzo scorso ho visitato Salcheto e, in anteprima assoluta, con grande interesse ho assaggiato il Salco 2005, che sarà presentato ufficialmente sabato 9 aprile al Vinitaly, tra me e il titolare dell’azienda, Michele Manelli – mentore e testimone il gran ciambellano, ovvero il responsabile commerciale Marco “califfo” Sodini – è stato fatto un patto tra gentiluomini: io gli avrei usato la cortesia di non “bruciargli”, con uno scoop, l’appuntamento veronese già fissato con la stampa e lui mi avrebbe ricambiato in qualche modo la cortesia.
I malevoli tacciano, perchè lo scambio di piaceri è già avvenuto. Ed è assolutamente immateriale: ieri mi ha chiamato Michele e, compiaciuto del fatto che avessi mantenuto la promessa, mi ha dato il via libera all’uso anticipato di quanto in mio possesso. Ovvero le note di degustazione sul Salco 2005.
Ecco qui sotto il pezzo che avevo scritto a caldo e di cui avevo “sospeso” la pubblicazione.

Chi si ricorda la vecchia canzone di Sergio Endrigo, “Ci vuole un fiore”? “Per fare il tavolo ci vuole il legno, per fare il legno ci vuole l’albero…“, etc. Bene. L’evoluzione 2.0 del principio enunciato dal cantautore istriano è che, almeno in città, d’ora in avanti per fare il rosmarino ci vorrà il vino. O meglio, la cassetta di legno (ottenuta riciclando vecchi pancali destinati al macero, ovviamente) nella quale il vino è contenuto. Assieme a un kit (semi dell’essenza e il panno di coltura usato per separare le bottiglie, anch’esso ecocompatibile) che, sistemato appunto nella cassetta, consentirà di crearsi sul davanzale di casa un bell’esempio di orto domestico e “sostenibile”.
L’idea, giustamente sospesa tra la provocazione e la proposta di un uso più intelligente del packaging, è di Michele Manelli. Titolare di Salcheto, premiata ditta produttrice, in quel di Montepulciano, di Vino Nobile docg, nonchè (e non a caso) ideatore della prima e credo unica cantina al mondo che, appena sarà finita (fine dell’estate prossima), pur essendo sotto terra sarà sempre illuminata dalla luce naturale. Proprio nel senso che non avrà una sola lampadina che sia una.
Ma andiamo per ordine e partiamo dal rosmarino. Anzi, dal vino. O meglio dal Salco, il Nobile di punta dell’azienda.
Per l’annata 2005 (e solo per quella, perchè l’esperimento non sarà ripetuto) Manelli decise di fare una prova: dividere l’intera produzione (10mila bottiglie) in due lotti e tappare il primo lotto con il tappo di sughero, affidando invece l’altra metà a un “eretico” tappo a vite. Dopodichè lasciare il vino a riposare nel vetro per quattro anni e allo scoccare del quinto “vedere di nascosto (mica tanto di nascosto, in verità) l’effetto che fa“.
Un effetto che sarà svelato al Vinitaly e che noi abbiamo testato in anteprima.
Il Salco 2005 sarà messo in vendita in confezione doppia (la cassetta con il kit di cui sopra) e conterrà pertanto una bottiglia di Nobile di Montepulciano Salco docg 2005 (tappo in sughero) e una bottiglia di Salco Toscana Igt 2005 (tappo a vite). Stesso vino, ma tappatura diversa.
Al primo assaggio la differenza è sorprendente.
Per entrambe le bottiglie il colore è il medesimo, un bel rubino, caldo, dai riflessi appena aranciati, che nella versione docg tende a schiarire leggermente.
Al naso l’igt è fine, intenso, elegante, screziato, maturo ma senza cenni di cedimento ed anzi con qualche nota di freschezza, mentre il docg è meno intenso e ricco, più maturo, molto sobrio.
Anche al palato le difformità tra i due campioni sono facilmente percepibili. Il Nobile è molto strutturato, un po’ spigoloso e a tratti duro, intenso e molto austero, con ritorni di cuoio e una vaga eco di liquirizia, mentre l’altro più franco e diretto, vivace, giovanile e morbido, meno lungo rispetto al primo, ma più fresco.
La mia preferenza? Difficile da dire. Il Nobile è senza dubbio più vicino alle mie aspettative, mentre l’Igt ha questa gioventù che lascia abbastanza di stucco e che, sotto un’altra prospettiva, lo rende più gradevole.
“Naturalmente è un esperimento, un divertissment“, chiarisce Manelli. “Un modo per fare il punto sull’evoluzione nel tempo di un medesimo vino imbottigliato in due modi diversi. Le differenze? Potrebbero derivare dalla maggiore quantità di ossigeno contenuta nella bottiglia con il tappo a vite. Oppure da infiltrazioni passate dalla porosità del sughero…”.
Chi vorrà fare la prova, non ha che da procurarsi un paio di cassette. Una da bere subito e un’altra, magari tra altri cinque anni.
Quando sarà a pieno regime da un pezzo anche un’altra delle idee del vulcanico Michele: una cantina a emissioni zero. Detto così non pare molto originale, visto il trend propagandistico-ecologista che sta attraversando il mondo del vino. Ma quella di Salcheto punta a esserlo davvero: calore ricavato unicamente dalla combustione di cippato aziendale, freddo ottenuto per esclusiva via geotermica, corrente elettrica prodotta con pannelli fotovoltaici. E la luce? Naturale. Proprio nel senso di solare, catturata attraverso un ingegnoso sistema di bocche di lupo e di specchi capaci imprigionarla e di diffonderla negli ambienti sotterranei. “La maggiore difficoltà che ho incontrato – spiega l’ideatore – è stata convincere l’Asl che l’assenza integrale di lampadine ci avrebbe comunque garantito di mantenere il livello minimo di illuminazione previsto dalle leggi per la luminosità degli ambienti di lavoro. Ho dovuto convincerli a colpi di relazioni degli ingegneri, ma alla fine ce l’ho fatta”.
E d’inverno, quando fa buio presto? “Tutti a casa alle cinque del pomeriggio“, risponde lui. “Vogliamo o non vogliamo tornare ai ritmi della natura?
Il contrappeso, aggiungo io, è che d’estate fa buio tardi. Anzi, tardissimo.