di ANDREA PETRINI
Sagrantino di Montefalco “25 anni” 1998 Arnaldo Caprai: il tempo porta consiglio sia a Andrea che al vino, del quale egli diffidava. Risultato: “organizziamo una bevuta di revisione collettiva?”
Lo ammetto e faccio mea culpa: non compro Sagrantino di Montefalco da tanto, troppo tempo. E’ un vino che mi emoziona o, come dicono quelli bravi, non è nelle mie corde. So bene che ci sono tantissimi produttori che producono a Montefalco dei grandi Sagrantino ma, vedete, quel tannino così opulento e graffiante, tipico dell’uva, soprattutto in giovane età, proprio non lo gradisco.
Poi, però, mentre sistemo la cantina in vista del prossimo trasloco, spunta una bottiglia di Sagrantino di Montefalco “25 Anni” 1998 di Arnaldo Caprai, un vino acquistato tantissimo tempo fa sul Forum del Gambero Rosso e che allora era considerato uno dei vini più iconici e premiati in Italia. Oggi, sicuramente, non ha più quell’appeal che aveva ventisei anni fa, ormai Caprai è quasi considerato un brand di lusso in Italia, fa parte di un certo establishment del vino che a molti appassionati e giornalisti, alla continua ricerca del piccolo vignaiolo, fa storcere il naso. Troppe bottiglie, troppa pubblicità, troppi premi. Ma ricordiamoci che se oggi si parla di Sagrantino di Montefalco nel mondo lo si deve alla intuizione di Arnaldo Caprai, imprenditore tessile di successo, che nel 1971 fonda la sua azienda con l’obiettivo, a quei tempi sicuramente visionario, di valorizzare quell’uva autoctona poco conosciuta e coltivata spesso per uso famigliare chiamata Sagrantino.
L’arrivo nel 1986 di Marco Caprai, figlio di Arnaldo, ha segnato un punto di svolta per l’azienda grazie ad una nuova energia e una visione estremamente moderna, puntata su innovazione e ricerca per rilanciare il Sagrantino tramite un miglioramento delle tecniche di coltivazione e vinificazione fino ad allora ancora ancorate a logiche da “vecchia” enologia.
Con alle spalle questa nuova filosofia tipica degli anni ’90, dove la barrique era considerata il nuovo Messia, nasce questo vino nato per celebrare, nel 1993, il quarto di secolo dell’azienda e destinato, come la storia ci ha insegnato, a rivoluzionare il concetto di Sagrantino.
Davanti a me, un po’ impolverata c’è l’annata 1998 del “25 Anni”, messa da parte da tempo immemorabile con uno scopo che solo un nerd come me poteva avere: capire dopo tanti anni come evolve il Sagrantino di Montefalco, soprattutto quello di Caprai, verificando se questo benedetto tannino alla fine riesce ad integrarsi nel corpo del vino.
Lo apro senza problemi, il tappo non si distrugge, bene così, e già dal colore, rubino tendente al granato, capisco che il vino, nonostante tutto, nella mia cantinetta è stato ben preservato cedendo pochissimo al tempo e all’ossidazione visto che anche i profumi, ricchi di rimandi al tabacco da pipa, fusione ferrosa e al sottobosco, non erano quelli (terribili) che mi aspettavo. Per parlarci chiaro non ho trovato assolutamente odori “marsalati” o tendenti al glutammato.
Le sorprese positive le ho soprattutto sul versante gustativo visto che il Sagrantino di Montefalco è ancora vivo e vegeto, per certi versi ancora scalpitante e, udite udite, con un tannino “abbastanza” fuso che per certi versi, ma prendete ciò che scrivo con le molle, simile come grana a quello di certi grandi Bordeaux. Il sorso, soprattutto nel finale, scappa via un po’ troppo velocemente ma rimane comunque ancorata al palato una interessante scia sapida che, almeno al sottoscritto, piace tanto.
Insomma, vuoi vedere che, dopo questa bevuta, devo rivedere le mie valutazioni sul Sagrantino di Montefalco? Cari amici IGP tirate fuori le vostre bottiglie dalla cantina ed organizziamo una bevuta di “redenzione”?
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