La storia ha raggiunto la parola fine. Almeno così pare: ognuno per la sua strada. Sì, tutti gli interisti speravano che Josè restasse. Ma appunto sapevano che era solo una flebile speranza. Nessuno ha tradito. Mourinho se ne va da vincitore lasciando una squadra vincente. Non come il coniglio brasiliano, bolso e fragile, scappato per due soldi a chiudere altrove una carriera incrinata.
La telenovela sembra davvero finita, adesso. La clausola rescissoria verrà pagata per intero, ma a rate: sedici milioni dal Real (che includono, si presume, anche i tre che mancavano per il saldo di Schneijder) all’Inter e Mourinho può lasciare Milano. Era ora che finisse, anche se poi il tira e molla non è durato nemmeno troppo. Ma tutti dovevano ritrovare la serenità. Gli interisti per mettersi a cercare sul serio un nuovo allenatore e godersi in pace la tripletta, Mou per proseguire l’avventura spagnola decisa da tempo.
E’ vero, nel suo affrettato congedo non è stato elegante, il portoghese. Ma le lacrime, apparse sincere, lo hanno in parte riscattato agli occhi dei tifosi e soprattutto di un presidente che, la sera della finalissima, forse già sapeva dell’irreversibile decisione del suo tecnico, anche se magari sperava in un ripensamento. Belle e acute le parole di Moratti oggi alla Gazzetta: “Con noi è stato spettacoloso, gli siamo assolutamente molto riconoscenti, ma questo non toglie che esiste un rapporto fra la società e Mourinho e come tale è diverso dalla stima nei suoi confronti”. Un capolavoro di diplomazia dialettica per sottolineare tre cose: non si intacca il sentimento, ma i contratti si rispettano, clausole rescissorie comprese”. Un messaggio diretto probabilmente non solo all’allenatore e a Perez, ma anche a qualche irrequieto giocatore, per far capire che l’Inter, sopratutto l’Inter di oggi, non è facile un trampolino verso lidi più prestigiosi, ma un punto di arrivo per chiunque. Un punto che non è un albergo da cui si può andare e venire a proprio comodo.
Certo, tutti avremmo sperato in un epilogo più dolce, dove il cuore prevalesse e allungasse la scia di commozione dettata dalla notte madrilena, ma questo è il calcio di oggi. E la regola vale (quasi) per tutti.
Quando due innamorati si lasciano perchè l’amore finisce di uno finisce, l’altro è sempre antipatico. Perchè rinnega le promesse, i gesti, le parole di un periodo che sembrava destinato a non concludersi mai. Ma l’affetto, la tenerezza reciproci rimangono sempre, superano gli anni e col tempo smussano gli angoli della rottura. Per questo credo che gli interisti ameranno per sempre Mourinho e che Mourinho non dimenticherà facilmente il suo biennio nerazzurro, il rumore dei nemici, il senso dell’assedio, le manette, la prostituzione intellettuale e tutta la galassia di episodi che hanno accompagnato la sua avventura.
Mou se ne va da vincente e lascia una squadra vincente. Non è come Ronaldo, un giocatore rotto che per un po’ di soldi e di vane illusioni di gloria abbandonò chi lo aveva amato, atteso durante gli interminabili infortuni, coccolato come un figlio. Lui tradì e gli interisti, giustamente, non gliel’hanno mai perdonato. Scappò con ignominia per fare una fine bolsa e ingloriosa altrove.
Ciao Mou, o forse arrivederci, chissà.
Da oggi all’Inter si volta pagina. Ma a quella di ieri rimarrà il capolettera miniato con scudetto, coppa Italia e Champions. Lunga vita a Josè Mourinho. e al nerazzurro che non finisce mai.