L’Inpgi2 fa autogol e a pochi giorni dalla scadenza si fa bocciare il nuovo statuto elaborato in gran segreto. Ora potrebbe esserci un commissario o un auspicabile passaggio all’Inps. Il governo però metta subito mano alla riforma delle pensioni dei giornalisti autonomi.

 

In un corrosivo articolo pubblicato sulla newsletter di Senza Bavaglio a proposito del penoso gioco dell’oca in corso all’INPGI2 – quello in cui, nella totale omertà dei gestori ovviamente, a due settimane dalla scadenza dei termini governativi si è riusciti nel capolavoro di non far approvare il nuovo indispensabile statuto e ora chissà che succederà – Massimo Alberizzi ha definito la vicenda “boccaccesca“, ossia volgare e indecente.

Dissento totalmente.

Non sulla volgarità nè sull’indecenza, si capisce.

Ma sulla natura boccaccesca del caso.

Il quale non ha nulla dell’ironico, del giocoso, del pruriginoso, dell’ammiccante che l’aggettivo riferito a Ser Giovanni implicherebbe. Si tratta solo di una vicenda squallida da commedia sexy di serie B, di quelle che non fanno ridere e nemmeno arrapare da quanto sono intrinsecamente tristi.

La trama è nota: attaccata al potere come una patella allo scoglio, la cupola alla guida dell’ente previdenziale dei giornalisti autonomi, costituita da una maggioranza di colleghi dipendenti (che quindi sanno mediamente un tubo di libera professione) e messa lì da un parasindacato che, a essere molto ottimisti, raccoglie meno del 10% di quelli che pretende di rappresentare, da ottobre è andata dritta per la sua strada, vergando ex novo bozze di statuto senza che nulla fosse fatto trapelare ai diretti interessati. Cioè noi. Cioè la vile plebaglia dei sudditi, minus habentes incapaci (o forse troppo capaci e per questo esclusi) di badare a se stessi, che secondo i capataz dovrebbero adeguarsi senza fiatare ai diktat di chi comanda e sa, ovverosia loro. Anche se i diktat vanno contro la logica o gli interessi dei teorici beneficiari.

A nulla sono valsi appelli, richieste, manifesti, tazebao levatisi da gruppi organizzati tipo i GAP (quorum ego) e da singoli giornalisti che, ineccepibilmente, reclamavano di essere informati sullo stato dei lavori e di poter dire la loro visto che, in fin dei conti, si parlava delle loro pensioni.

Il documento presentato giorni fa dal Cda al Consiglio Generale dell’Inpgi per l’approvazione (approvazione che richiede maggioranze qualificate, quindi più larghe della maggioranza aritmetica, proprio perchè il sistema, per garanzia, richiede ampi consensi) era esattamente quello che – racconta in sintesi Alberizzi, per l’intero vedere qui – le indiscrezioni facevano temere: un pastrocchio mirato solo al mantenimento dello status quo di poltrone, poltroncine, compensi principeschi, spese inutili etc, senza alcun miglioramento o razionalizzazione nè della struttura, nè del trattamento degli iscritti, nè altro.

Non solo: nel disperato tentativo di rendere credibile l’incredibile bozza, qualcuno avrebbe pure tentato di giustificare la scandalosa secretazione dei lavori preparatorii.

Morale: la bozza (inevitabilmente, come qualsiasi logica suggerirebbe) non raccoglie la maggioranza qualificata dei voti richiesta dallo statuto in vigore e viene bocciata. Con la coda tragicomica che la “maggioranza” proponente accusa la “minoranza” di aver fatto la minoranza, cioè il suo mestiere. Nella cupola accecata dal delirio di onnipotenza siamo a questi livelli.

Che succederà a questo punto (la legge di bilancio prevedeva che il nuovo statuto dovesse essere bello che approvato entro il 30 giugno per passare all’esame dei ministeri competenti), non si sa. Di sicuro, visto il tempo rimasto e la situazione, non c’è margine per scriverne un altro.

Il risultato potrebbe essere paradossale: nell’impossibilità di dare all’ente una nuova norma fondamentale, il Governo potrebbe decidere di affidare tutto a un commissario. Oppure di passare sotto l’INPS anche l’Inpgi2.

Il che comporterebbe, in un colpo solo, due conseguenze auspicabili: mettere le pur pauperrime pensioni degli autonomi sotto il cappello dello Stato, anzichè sotto quello di maldestri (eufemismo) colleghi e, soprattutto, sottrarlo alle grinfie del sindacato, il cui scopo, se non si fosse ancora capito, non è mai stato dare una migliore copertura previdenziale ai giornalisti autonomi, bensì assicurarsi attraverso l’ente le ricche prebende lucrate finora, con gli effetti a tutti noti.

Sento già la voce degli avvocati d’ufficio: perchè riporti solo la versione dell’opposizione e non della maggioranza del consiglio Generale dell’ente? Eccezione-autogol: l’avrei riportata se, prima, durante e dopo, si fossero degnati di riferire. Invece, muti. Afasia. Omertà. Secretazione.

Chiosa finale: qualcuno mi rimprovererà anche di non aver dato colpe alle correnti che, in contrasto tra loro ma facenti capo al medesimo sistema (come i ladri di Pisa), dall’interno federale manovrano le operazioni. E’ vero, non l’ho fatto. Il motivo è che considero la sovrastruttura correntizia il peccato originale, anzi il male assoluto del giornalismo italiano. Sia che si parli di Sindacato, sia che si parli di Ordine. Quindi pari, o quasi, sono.