di STEFANO TESI.
Il porfido, le vigne a pergola arrampicate sulle montagne, il Muller Thurgau, il curling, un palaghiaccio più grande del municipio. E lo zio Luigi che si affaccia in una foto dalle pareti del maso per suscitar domande.
Sdraiato sul letto della mia cameretta, con lo sguardo obliquo nella penombra verso lo scorcio di montagna che intravedevo dalla finestra, sono stato a pensarci una buona mezzora. La domanda mi frullava in testa dalla mattina. Da quando, cioè, in attesa di fare colazione, mi ero soffermato in sala da pranzo a guardare le vecchie foto appese alle pareti. E avevo visto lui: lo zio Luigi.
Era uno scatto del dopoguerra, in bianco e nero. Un gruppo di famiglia, gente semplice, contadini. Ma Luigi (mi pare mi abbiano detto si chiamasse così) spiccava: occhi scuri e vivaci, capelli all’indietro e un sorriso ingenuo che nascondeva un’espressione inquieta. Molto inquieta, quasi sofferta. “Era un po’ strano”, racconta la nipote. Per ribellarsi allo spirito religioso della nonna, che incombeva sui costumi e la mentalità di casa, una volta prese pennello e vernice e sul retro del maso, dove ora hanno ricavato le quattro camere dell’agritur, scrisse “Questa è la casa del diavolo”. Poi lasciò la valle, con la scusa (peraltro credibile) del lavoro che mancava. Non trovò di meglio che arruolarsi nella Legione Straniera e farsi paracadutare nell’inferno dell’Indocina e dell’Algeria a veder la morte in faccia. Roba con cui, congedato, ha trovato materiale inesauribile per raccontare storie ai nipotini, quelle rare volte che è tornato a visitare i parenti. Ma neanche ottenuta la pensione ebbe voglia di rimettere radici nella valle: visse e morì, da solo come aveva sempre vissuto, in una cittadina della provincia francese, dove il governo aveva le case riservate ai veterani. Chissà qual era il segreto dello zio Luigi, se ne aveva uno.
Ora vi chiederete dove voglio arrivare e soprattutto qual era la domanda che mi facevo disteso sul letto.
Le domande erano due. La prima era come fosse la Val di Cembra settant’anni fa. La seconda era se oggi ci fosse un buon motivo per volerci venire.
Nonostante tutto, una risposta non la trovavo. La Val di Cembra è una valle trentina, profonda e rurale. Troppo bassa per essere montagna e troppo alta per essere collina. Boschi fittissimi, pendenze notevoli. Una collana di paesini sparsi sui suoi fianchi. Un paio di cave di porfido che offendono gli occhi ma hanno salvato l’economia locale. Vigneti ovunque, a picco, coltivati a pergola, arrampicati nelle gole, rinserrati nei terrazzamenti a prova di trattore. Oggi è quasi tutto Muller Thurgau (proprio a Cembra, da 25 anni, c’è la mostra dedicata a questo vitigno), che trent’anni fa prese il posto della gloriosa Schiava. Vigne strappate ai monti, a quota 900 e oltre. Ruralità che si respira nell’aria.
Più su c’è il lago di Cembra. D’inverno gela e da sempre i ragazzini ci andavano a pattinare. Poi negli anni ’70 arrivò un tipo olandese (forse lui potrebbe rispondere alla seconda delle mie domande) e spiegò agli stupefatti valligiani che sul lago gelato si poteva giocare a bocce: a Cembra era arrivato il curling.
Che c’entra? C’entra, c’entra. Passano altri dieci anni e una ragazza del posto si sposa con uno svizzero. Non uno qualunque, ma un campione di curling. Insomma, per farla breve nasce una scuola, poi una squadra, poi un’altra. Ora ce ne sono sei, di cui una è campione d’Italia di serie A, c’è un palaghiaccio più grande del municipio e quindi Cembra, con la sua valle, è la capitale italiana del curling.
Ma forse nemmeno questa è una buona ragione per venire in Val di Cembra. Forse non lo è neppure il Muller Thurgau (però si sono bevute cose parecchio interessanti e pure inattese, comprese le grappe e i distillati di Pilzer). Forse alla fine non esiste neppure una buona ragione per venire quassù e questa potrebbe essere la risposta finale ai miei un po’ oziosi interrogativi.
Eppure io sono arrivato a una conclusione diversa. Mi sono alzato dal letto e ho aperto la finestra. Mi sono goduto le cortine dei vigneti che scendevano giù, uno sull’altro, lungo la valle strettissima. Sono uscito sotto al pergolato, ho fatto due chiacchiere con le padrone di casa, Tiziana e Rosa, mi sono mangiato la torta casereccia, i formaggi e gli affettati, tra il suono del ruscello e un’aria lontana di Dolomiti. E ho detto a me stesso che ci sarei tornato presto, proprio perché, non essendoci nessun apparente buon motivo per farlo, in realtà ce ne dovevano essere tanti.
Lo zio Luigi fece diversamente, ma lui lì ci era nato.
Chissà, magari sarebbe stato un ottimo giocatore di curling.
Agritur Maso val Fraja
Via Val Fraja, Cembra (TN)
Tel. 0461 680096 o 683785
www.masovalfraia.it.
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