A 94 anni è mancato il prof. Franco Scaramuzzi, presidente onorario dell’Accademia dei Georgofili e per oltre trent’anni figura “militante” dell’agricoltura toscana. Ci stimavamo e condividevamo un’idea disincantata del mondo agricolo.
Nel 1987 io ero un cronista principiante e lui era già da un anno presidente dell’Accademia dei Georgofili. In redazione al Giornale di Montanelli, per il quale facevo da referente in Toscana, si seppe che mi intendevo un po’ di agricoltura e subito mi mandarono a seguire un convegno su non ricordo quale tema. Forse, anzi quasi di sicuro, roba zootecnica.
Nell’aula austera seguii l’intera audizione e poi, ovviamente, con malcelata soggezione mi presentai al professor Scaramuzzi. Si vede che gli rimasi simpatico, perchè da subito mi mostrò disponibilità, da allora seguendo piano piano il corso della mia carriera di giornalista agricolo.
Non abbiamo più smesso di frequentarci. Io ne apprezzavo l’energia, la passione, la visione militante. Lui credo apprezzasse la mia conoscenza “diretta” della materia agricola, solitamente indigesta alla stampa e fonte di infiniti equivoci, per i quali il professore si adombrava non poco.
Forse per questo nel 2011 accolse con incoraggiante calore anche l’idea, che andai a presentargli, che costituissi un’associazione tra i colleghi toscani del settore: l’ASET. E credo per lo stesso motivo non esitò a concederci il patrocinio e la collaborazione della prestigiosa istituzione che guidava, con una susseguente teoria di convegni e di iniziative, fiore all’occhiello associativo che sono sotto gli occhi di tutti.
Insieme ci facevamo gran risate sulle sciocchezze che spesso si leggevano qua e là e brevi ma intense discussioni sulle tensioni, le tendenze, i destini sempre più cupi del mondo agricolo.
Lasciata nel 2014 la presidenza dei Georgofili, per divenirne presidente onorario, non aveva mai smesso di stare “sul pezzo” e anzi, libero da incarichi operativi, aveva perfino accresciuto la sua voglia di sorrisi, di ironia e, diciamolo, di dare battaglia a difesa dell’agricoltura e contro i suoi eufemismi. Memorabile, per verve e pungente vis polemica, la prolusione a lui affidata dell’anno accademico 2015, quando tuonò (vedi qui) contro la montante moderna “agrarizzazione” di ciò che di agrario non ha nulla, nel nome di una malintesa multifunzionalità.
Non posso dire che fossimo diventati amici (abbiamo per 33 anni continuato a darci rigorosamente del lei e abbiamo fatto bene!): ce lo impedivano anagrafe, ruoli e galloni. Ma l’intesa, la sintonia, quelle non ce le levava nessuno.
Oggi che, alla veneranda età di 94 anni, è mancato, ho il dovere morale di ringraziarlo non solo per il sostegno che mi ha sempre offerto sul piano professionale, ma per l’onestà intellettuale e la coerenza che ha sempre dimostrato anche sulle questioni scomode sulle quali, con me e con altri, non era d’accordo.
E’ ora, e solo ora dal 1986, che sento di poter osare di dirgli “ci vediamo, prof“.