di FEDERICO FORMIGNANI
Nonostante la vicinanza geografica, sono forti le differenze linguistiche e dialettali tra la parlata dei Grigioni, quella delle valli ticinesi e della Valtellina. Anche quando si tratta di “cose sacre”.

 

Chi può suggerirci – considerate le turbolenze dei tempi che stiamo vivendo – di affidarci ad opportuni momenti di riflessione per l’anima, accompagnati da un’auspicabile intimità spirituale, è il celebre filologo zurighese Jakob Jud, nato nel 1882 e morto nel 1952. Sono due i saggi interessanti pubblicati: il primo (del 1919, in lingua tedesca) esamina i termini ecclesiastici impiegati nelle parlate romance del Grigioni, nei dialetti delle valli ticinesi e in quelli lombardi; nel secondo (del 1934, in lingua francese) descrive la storia della terminologia ecclesiale in Francia e Italia.

Vediamo anzitutto la “chiesa” – luogo fisico d’incontro fra Cristo e i fedeli – e tutto ciò che ad essa è collegato. Nei dialetti lombardi e settentrionali in genere è gésa, mentre nelle lingue ladine del Grigioni svizzero è basélgi. Appare evidente che la seconda parola è quella che più si avvicina al latino basilica: è risaputo che le lingue rumantsch del Canton Grigioni attestano la presenza di una latinità ben superiore a quella dei dialetti del nord Italia, soggetti a più frequenti mutazioni storiche e sociolinguistiche. Anche la parola gésa – a seconda delle zone del nord nelle quali veniva impiegata – ha subito un semplice cambio di consonante iniziale (césa); per esempio nel Veneto e in Emilia.

Altra parola: la “parrocchia”. Nelle parlate lombarde e della Svizzera italiana è paròchia, mentre diviene plaif nella bassa Engadina e pleif  nel Surselva. Sempre della chiesa, in quanto oggetti, fanno parte la “campana” e il “campanile”; la prima parola è campana per tutti i dialetti lombardi ma diventa sain e zen nel Grigioni ladino; idem per il campanile: è campanìn dappertutto, ma diventa chucher in Engadina e chutgér nel Surselva. Altro personaggio, il sagrestano, custode e factotum della parrocchia. Qui le differenze si accentuano: è caluoster e calluster (dal latino clostrum, chiostro) nel Grigioni; monìc o segrista in Val di Blenio; sagrista a Milano, Como e Varese; monik a Bormio. Sempre alla chiesa appartiene l’acquasantiera”, detta parlét d’aua banadida (recipiente per l’acqua benedetta) nel Surselva, aquasantìn altrove e anche pila, pilètta dell’acquasanta.

Arriviamo al verbo “pregare”, che traduce in azione quel particolare bisogno dell’uomo di comunicare con Dio, ancor più sentito dai fedeli delle montagne e delle campagne rispetto a quelli di città. Il verbo è prégà, prégar in Lombardia, prägä in Val di Blenio, dir su pater (recitare il Pater) a Bormio. Interessante, al contrario, è l’urer e l’urar del Canton Grigioni, simile all’orare latino. Anche la madre di Gesù ha nomi differenti: è Madòna in quasi tutti i dialetti della Lombardia mentre, nel solito Grigioni, diviene nossa duonna (nostra donna, signora), dal latino nostra domina.

Abbastanza curiosi sono i vocaboli impiegati per definire il “padrino” e la “madrina”. Accanto ai moderni padrìn e madrina, in qualche luogo della Lombardia sopravvive il gudàzz, guidàzz con la gudàzza, termini di origine longobarda, mentre padrìn (da pater) e madrütscha, madrétscha (da mater) sono le parole usate nel Canton Grigioni. Altro luogo consacrato, al pari della chiesa, è il “cimitero”. Il vocabolo dialettale varia alquanto a seconda delle zone in cui viene usato: kampusantu a Bormio; cimitéri, campsant, foppón a Milano; scimentèri, sägrà (sagrato) in Val di Blenio; sentéri, suntéri nel Grigioni romancio. Vale poi la pena ricordare che il foppón milanese, oggi pressoché scomparso, deriva il proprio nome dalla fovea (fossa) latina.

Le ricorrenze religiose, è bene non dimenticarlo, venivano un tempo vissute come vere e proprie feste. Una volta assolti gli obblighi religiosi nei paesi delle pianure e in quelli montani, la comunità si raccoglieva per banchettare, visitare fiere e mercati, per praticare giochi al suono delle bande di paese. Il fa festa della Lombardia diventava festezar nel bormino e firer, firau nel grigionese. Un tempo la “festa” era anche l’occasione per recarsi nei centri maggiori a toeu la perdonanza (ricevere il perdono) per peccati grandi e piccoli, evidentemente. Ora nei vari dialetti e località di Lombardia si parla di “sagre”, di fest de paes. Solo tra i monti del Grigioni, sulle orme della latina perdonantia, ci si ostina a inseguire, appunto, la pardunanza, detta anche pardunónza. In letizia e semplicità.