Da Copacabana il caro proletario armato Cesare ci manda una bella cartolina, irridendo l’Italia e le sue vittime. Sotto l’ombrellone carioca si riprende dalle fatiche dell’ultimo libro. E si proclama innocente. Il clima è dolce intorno a lui: donne di sogno, banane, lamponi. Da Paolo Conte a Battisti. Lucio, però.

Nell’assordante silenzio socialmediatico dei soliti libertari a senso unico, per i quali il mondo si divide tra persone più uguali degli altri e compagni che sbagliano, il colto romanziere Battisti Cesare, già leader, tanto per chiarire, degli eroici Proletari armati per il comunismo, salvato in corner dagli ultimi spasmi di potere del compagno Lula, proprio nel mezzo dell’estate dal Brasile rilascia un’importante dichiarazione.
Che, purgata degli eufemismi del caso, suona più o meno così: cari italiani, cara opinione pubblica e cari familiari delle vittime del terrorismo rosso, vi ho fregato. Qui ci sono sole, belle donne, mare, clima dolce e me li voglio godere tutti. Dopo vent’anni vissuti tra gli eleganti, ma umidi, salotti radical-chic parigini e qualche settimana passata pro forma nelle colorate galere carioca, avrò diritto anch’io a un po’ di ferie tropicali, no?
Ineccepibile.
Del resto, il nostro galeotto-vip ha sgobbato forte, di recente, per concludere il suo ultimo libro: “Ai piedi del muro”. Vi si racconta, ci riferiscono, l’esperienza intercorsa tra l’arresto nel 2007 in Francia, l’estradizione, la fuga, il riarresto e infine la liberazione brasiliana.
“Non ho ammazzato nessuno”, proclama il simpaticone, “e sono vittima di una disputa tra forze politiche italiane con le quali non avevo niente a che vedere”. Già, in fondo nemmeno Stalin aveva materialmente ammazzato nessuno, quindi perché tanto accanimento?
Lì per lì viene il sangue agli occhi, lo so. Ma poi ci pensi e ti chiedi: che altro dovrebbe dichiarare un pluriergastolano, privo di scrupoli, tanto e perfettamente consapevole delle proprie responsabilità, così come delle godute connivenze intellettuali e dei “soccorsi rossi” goduti, da potersi perfino permettere di essere irridente verso il proprio paese che l’aspetta da sempre per ingabbiarlo?
Del resto lui, ormai, fa sapere che “sogna perfino in portoghese (sic!)”. Sogni, sottolineo, non incubi. Che diamine. Si trova bene, lì. Sono posti che gli ricordano “Napoli e Marsiglia”.
E’ divenuto un’anima latina a tutto tondo, insomma.
Vi rammentate la canzone del suo quasi omonimo Lucio? “Scende ruzzolando / dai tetti di lamiera…”.
Spero anch’io di vederti ruzzolare giù, caro Cesarino. Ma sono di poche pretese e mi accontenterei di un tetto qualsiasi.