Ho scoperto che Massimo Gramellini, sul Corriere, ha appena scritto, ma indubitabilmente meglio di me, qualcosa che volevo scrivere io: per i bambini della mia generazione, la partita d’esordio della Nazionale ai mondiali o agli europei era un evento atteso e immaginato per mesi, mentre quelli di oggi non solo sono poco interessati, ma spesso ignorano l’esistenza dell’appuntamento stesso.

Del resto, conclude, non a caso più nessuno gioca per strada, con i giubbotti a fare da palo.

Vero.

Aggiungo che, oggi, nessuno più gioca per strada o nei cortili tour court, né a calcio né ad altro. Spariti i palloni, sparito il vocío, gli strilli, lo sciamare dei ragazzini, le strombazzate delle auto e le proteste dei pensionati per le pallonate o il chiasso.

Per questo, ieri, quando sono sceso dall’auto parcheggiata ai margini del paese, dove le case si fanno più rade, ho stentato a credere ai miei occhi: in un vasto slargo, un’aia e non un prato, due ragazzini si affrontavano palla al piede, nella polvere, minuscoli nel grande spazio. Uno in attacco e uno in porta, chi tira e non segna va tra i pali, disegnati sul muro di capisce. Un pallone ovalizzato, stile Supertele, a disegnare traiettorie a spirale.

Ho fatto un tuffo all’indietro di cinquant’anni, incerto se compiacermi o meno.

E mi è tornata in mente questa canzone.