La notizia, se non nuova, è comunque clamorosa: potrebbe essere l’acqua il core business del futuro della Riedel, il leader mondiale dei cristalli da vino di alta gamma. Parola di Georg, undicesimo della celebre casata di vetrai austriaci.

Georg Riedel è un uomo raffinato, ma pratico: “In fondo, siamo vetrai“, dice per schermirsi al cospetto di una holding da 50 milioni di pezzi all’anno e da 250 milioni di euro di fatturato consolidato, leader mondiale della cristalleria da tavola, primi fra tutti i celebri bicchieri da degustazione prodotti a mano (anzi, soffiati a bocca da 150 abilissimi artigiani) nella fabbrica madre di Kufstein, nel Tirolo settentrionale.
Herr Georg (di padre austriaco ma di madre genovese) è però anche un uomo acuto, un fine conversatore e un sensibile ascoltatore. Oltre che un imprenditore accorto. E mentre nella show room aziendale, in un gran baluginare iridescente, con sottile understatement (“…non è una buona idea bere vino a metà mattina, quindi vi propongo una degustazione diversa…”) ci mesce a sorpresa nei bicchieri fresca acqua di fonte, cala il carico da undici: “L’acqua è un business mondiale in continua crescita, con un giro d’affari salito già a 65 miliardi di dollari (circa 1/3 di quello attuale del vino, ndr). Solo che il consumo d’acqua sale e quello di vino scende. E poichè il bicchiere è un vero e proprio tastemaker, cioè un elemento decisivo nella trasmissione e nella percezione del gusto di ciò che si beve, è impensabile che un’azienda come la nostra non se ne interessasse. Così, la primavera scorsa, durante un soggiorno a Dubai, ho avuto l’idea: usare l’acqua per i test dei nostri bicchieri. O, rovesciando il discorso, usare i nostri bicchieri per i water tasting“. Come dire: Riedel entra nel mercato dei bicchieri da acqua. Di classe, va da sè.
Il messaggio è semplice: come per il vino, ogni acqua ha il suo dna e quindi, in teoria, vuole il suo bicchiere. E ogni bicchiere è in grado di influenzare nettamente il gusto dell’acqua percepito nel momento in cui essa giunge alla bocca.
Non male come intuizione, in un’epoca storica in cui l’acqua è sempre più preziosa e in cui l’industria ad essa correlata non si indirizza più sui soli consumi di massa, ma è sempre più attenta alla qualità organolettica della bevanda per eccellenza. Con un’aggiunta strategicamente e commercialmente decisiva: l’acqua gassata, la preferita nei ristoranti, è, a causa delle sue “bollicine“, ancora più sensibile al fattore-bicchiere, che può esaltarne la mineralità e la salinità, oppure renderla amara e perfino sgradevole al palato.
Un’esagerazione? Forse. Ma l’esperienza è convincente. Provare per credere.
Nella sua dimostrazione, Georg Riedel ha utilizzato tre tipologie diverse di bicchiere e, ovviamente, sempre la stessa acqua liscia.
Il bicchiere ampio e panciuto, con l’apertura piccola e leggermente svasata, indirizza il liquido nella parte anteriore del cavo orale, esaltando le sensazioni di freschezza del contenuto. Il calice di media dimensione e di imbocco medio-piccolo “spinge” invece l’acqua assecondando la forza di gravità e quindi la indirizza nella parte retrostante della bocca, esaltandone la salinità e l’acidità. Il calice grande, con ampio diametro, è un compromesso tra i due precedenti e tende quindi a diffondere l’acqua omogeneamente in tutta la cavità: è, assicura il signor Riedel, quello preferito dalla maggior parte della gente che ha effettuato i test di degustazione.
Solo sperimentazione, divertissement? Niente affatto.
“C’è una grande azienda, detentrice da sola del 15% del mercato planetario del settore, per un valore di circa 9 miliardi di dollari, che ci ha cercato e con la quale stiamo facendo esperimenti“, confessa lui. Il nome? “Top secret“, è ovvio. Ma a giudicare dallo scintillare del suo sguardo, i primi outing non dovrebbero essere lontani.
Ci sarebbe allora da chiedersi se di fronte a questa prospettiva le dieci generazioni di avi che occhieggiano dai ritratti appesi alle pareti dell’ingresso, e che Georg chiama rigorosamente per nome di battesimo, si rivolteranno nella tomba. Ma la risposta è negativa. Perchè, come ripetono Georg Riedel e suo figlio Max, il dodicesimo in un albero genealogico di famiglia lungo 250 anni e ora alla testa della Riedel Usa a New York, “noi in fondo siamo vetrai“.